Donne in fuga dalla guerra in Siria.

Un fuggire transitivo

Mi capita spesso, ultimamente, di sentire un forte senso di apatia, di sentirmi inerme dinanzi al frastuono delle notizie quotidiane, alle urla, alla banalità, al turpiloquio, alla mise en scene bieca e oscena a cui ci hanno abituato i talk show, tutti i talk show.

Eppure li guardo sugli schermi di tutti i telegiornali, quelle immagini e storie che ti stuprano l’anima, quegli occhi di quegli uomini e donne che aspettano su tutte le Diciotti, o nei campi profughi. Le speranze nutrite, le attese nei luoghi comuni. L’ansia perché in questa storia ti è capitato di raffigurare l’individuo diverso, l’altro, che in fondo gli altri siamo tutti noi.

L’uomo senza Stato, l’uomo abbandonato, l’uomo senza Storia, l’uomo vinto. L’essere transitorio, in questo tempo che si piega attraverso i permessi negati, e l’umanità inasprita dentro le poesie mai lette che si trovano nelle tasche di coloro che non conosceranno mai il risveglio in quel tempo di quel luogo sognato.

Conosco quegli occhi, sono anche i miei, mentre mi cerco ancora tra un libro e un articolo, un decreto legge, forse. Non sono mai riuscita ad abituarmi alla mia nuova condizione di cives libero, è come se una parte di me fosse rimasta ancora lì, sul porto di Bari, che vent’anni fa mi dava rifugio.

Fuggire è una condizione dell’uomo da tempi immemorabili, fuggiamo tutti in qualche maniera. Da una terra che non ci dà opportunità per crescere, da una situazione familiare, da una relazione che ci sta stretta, o semplicemente da una vita che ci imprigiona. Ecco, che fuggire assume un significato più ampio, un diritto legittimo di cui non potremmo privarci.

Sono nata nella città di Durazzo, e cresciuta tra le colline e montagne albanesi che si affacciano sul Mar Adriatico. L’Albania è piena di laghi e fiumi, di cui da piccola, ne seguivo il corso che puntualmente approdava sulla spiaggia di Lalzi, a pochi chilometri da Durazzo.

Sono rimasta sempre molto colpita dall’immagine dei fiumi che vedevo concludersi sul Mare Nostrum; trascorrevo ore e ore per cercare di capire dove finisse tutta quell’acqua dolce. I fiumi sono tutti diversi, ci sono quelli impetuosi, quelli risoluti, quelli lenti, quelli fangosi, quelli informi, quelli rassegnati, e quelli a delta che appaiono solenni. E questi fiumi si mischiano all’acqua salata, altri la sporcano, altri deviano, altri ancora irrompono, distruggono, e infine, al tramonto della stagione invernale, mi è capitato di osservare un fiume che sembrava danzasse con il mare.

E anche il Mare non riceve allo stesso modo, come la costa non consente a tutti i fiumi di abbandonarsi nella stessa maniera. La vita di una natura che combatte anche con se stessa, il racconto geologico di un viaggio che non conosce la fine. L’incontro di rivoli d’acqua, di pietre sparse, di sabbia muta, di perle preziose. Le nostre, quelle di tutti noi.

Fuggire è un verbo transitivo, significa andare verso, perché ogni sistema vivente, che porta in se la complessità, saprà resistere al cambiamento del suo equilibrio.

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