Chi ha paura di una nuova guerra del Kosovo? Una riflessione dopo la partita Serbia Albania

Ci sono svariati tipi di odio ma a noi interessa distinguere due categorie: l’odio reattivo e l’odio determinato dal carattere. L’eterno ‘film’ girato dai ‘registi’ serbi e albanesi è il risultato di una profonda ferita immutabile e storica verso la quale entrambi provano un sentimento di impotenza. Essi condividono la stessa struttura ossea che trova nel sentimento dell’odio reattivo (quello determinato da una ferita profonda) la sua peculiarità caratteriale. Voglio stilare in questa pagina una precisa cartella clinica di questi due ‘registi’ che, ammalati di tutti e due i sintomi sopra elencati, stanno crescendo nell’odio e nell’ostilità anche i loro figli. Figli che si sono ‘risvegliati’ anche attraverso la partita di calcio andata in onda il 14 ottobre 2014.

Queste immagini possiedono nella coscienza collettiva balcanica un valore altamente evocativo che grazie al mezzo comunicativo, cioè la televisione o tutti i sistemi multimediali, viene potenziato. Ai produttori, cioè i mass media, piace tantissimo questo ‘film’ ed entrambi i ‘registi’ perché essi possiedono quell’odio, che è un sentimento innato e storico dei metteur en scéne. L’odio andato in scena nella partita di calcio tra Serbia e Albania è conseguenza di quell’odio reattivo, e quindi storico, che oggi ancora di più incita gli occhi più deboli – il popolo e la folla – ad odiare nel nome dell’odio.

Innanzitutto dobbiamo sottolineare il soggetto, quindi il pomo della discordia, il Kosovo che è al centro dell’interesse dei metteur en scéne e dei ‘produttori’ di questi ultimi. Nessuno storico albanese o serbo o di qualunque nazionalità può definire l’appartenenza etnica del Kosovo almeno fino al VI secolo ma, molti storici hanno ritenuto che le antiche popolazioni della regione appartenessero allo stesso ceppo degli illiri cioè degli albanesi. Come sappiamo la questione è alquanto spinosa e irrisolta per molti motivi. Si potrebbe dire addirittura che le risoluzioni applicate negli anni sono molto fragili e che trovano un terreno fertile specialmente in un’epoca, come la nostra, che vive forti contrasti a causa dei crolli degli indicatori della macro e microeconomia europea e del desiderio di numerosi Stati di diventare autonomi.

Nella partita di calcio si è visto tutto questo.

Io sono albanese e sono molto delusa per la violenza sia da parte dei serbi che degli albanesi. Certamente risulterò impopolare presso il mio popolo ma io voglio comportarmi da storica e intellettuale che non può accettare la violenza gratuita mossa dai miei connazionali con quel gesto osceno del drone nel cielo serbo. Stando alle voci dei presenti pare che a finanziare tale operazione sia stato anche, Olsi Rama, il fratello del primo ministro Edi Rama che è stato trattenuto dalla polizia per una notte e poi rilasciato. Un gesto talmente violento nel suo significato più profondo che non necessita di troppe spiegazioni.

Cari connazionali la critica è una pillola amara, ma pur sempre una medicina e sappiamo che due galli non possono stare nella stessa gabbia. E come dice un nostro vecchio proverbio ‘chi non ha cuore non ha neppure tallone’ ma una pietra pesante al suo posto.

Ai Serbi, e soprattutto ai nazionalisti, rivolgo l’invito di fare pace con la storia. Non si può viverla solo per creare aforismi come questa frase di Aleksandar Baljak che dice: “Noi non sappiamo chi ha iniziato prima. Che poi è sempre la causa del conflitto” oppure “Moriremo tutti per questa idea. L’ennesima vittoria dello Spirito sulla Materia”. Se voi oggi siete così allora vi ritroverete completamente nella frase del vostro connazionale Zoran T. Popovic che sostiene: “Il leader è affetto da mania di persecuzione. Ha sempre la sensazione che i cittadini lo seguano”.

Mi spiace deludevi ma in una realtà che va definendosi sempre più globale, tutto questo è appunto solo una sensazione. Ma io voglio credere che i serbi oggi non siano questi. Non voglio credere alla paura che i ‘produttori’ della nostra società finanziano. Non voglio credere che Albania e Serbia non arriveranno ad una soluzione più radicale e ad uno scambio culturale per l’interesse e l’ amore del futuro dei figli che verranno.

In questa sacchiera vorrei non individuare né gli alfieri, né i re, né i cavalli ne prestare attenzione al fatto che siano neri o bianchi. Vorrei che ci fosse la capacità intellettiva e la forza spirituale di scegliere di cambiare e di porre fine ad una guerra e a quell’odio reattivo e quello determinato dal carattere che non mi appartiene personalmente. Sono speranzosa che non ci sia più bisogno di guide per un paese all’orizzonte.

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