Nesli: il buono, il brutto, e il cattivo sono io!

Francesco Tarducci, classe 1980, in arte Nesli è uno delle certezze musicali del panorama musicale italiano. Nato a Senigallia, presto si appassiona alla musica. Scrive melodie e parole ispirandosi a quelle basi musicali rap r’n’b, soul libere dagli schemi ma successivamente lo affascina anche il panorama Brit, le sonorità anni ’70 e ’80 punk e rock.

La scrittura rappresenta per il “cantautore” marchigiano una necessità, per combattere ed accrescere il proprio viaggio nella musica e quindi nella vita.  “Andrà tutto bene” l’ultimo album dell’artista è un rock roots ermetico e quindi essenziale. Una frase, quella del titolo dell’album, forse sovraesposta ma incoraggiante, e di coraggio Francesco Tarducci ne ha da vendere.

Parlando del tuo nuovo singolo “Buona fortuna amore” associ alla parola amore la parola pagana fortuna. Ci spieghi questo connubio?

Il concetto di amore come sacralità e il concetto di fortuna come benedizione vanno a braccetto qualche volta almeno nell’immaginario comune. Bisogna contestualizzare, cioè potresti avere ragione ma, io vengo da una realtà semplice e i titoli vanno presi per quello che sono nella loro semplicità, che non significa banalità.

Quali sono i temi che ti hanno portato a scrivere il tuo nuovo album?

Diciamo che il tema principale, il comune denominatore, è il rapporto uomo-donna: due fidanzati, padre figlia ecc. ovviamente con una visione autobiografica e personale.

Il buono, il brutto e il cattivo. Molti ti definiscono il rapper buono del panorama musicale italiano. Ti ritrovi in questa definizione?

Sentirei più mia la definizione di “il buono, il brutto e cattivo”. Sono tutte e tre gli aggettivi, forse. Io vivo i miei testi, e sono attraversato dalle esperienze di cui canto, perciò quello che ne esce è una libera interpretazione.

In Andrà tutto bene si ha la percezione che il tuo viaggio personale interiore sia combattuto; da una parte si avverte una specie di resa e dall’altra una spiccata combattività. Stai cercando redenzione?

Domanda tosta. Dunque la mia redenzione è legata un po’ al concetto di libertà. Certo è che quando vivi la felicità la prima cosa non è quella di narrarla ma appunto la vivi. È uno stato di tensione umana che ti porta ad indagare e addentrarti nei meandri degli stati d’animo cercando di tirare fuori quella radice chilometrica che ti porta a dire “Perché faccio così? Perché ripeto lo stesso schema da sempre?” È una domanda che si son posti tutti: “Perché io faccio così?”

E allora giù con la ruspa nella tua storia a quattro mani per tirare fuori quella radice chilometrica che poi ti permetterà di rinascere.

E allora “Andrà tutto bene”. Una frase rassicurante.

Cosa è il coraggio per te? Quali le tue paure?

Per me il coraggio è avere la capacità di rischiare tutto: può essere un’idea, un credo, una militanza verso una parte e talvolta il coraggio può essere visto anche nei caratteri della follia. Mentre credo che la mia più grande paura, anche rispetto alla morte, sia la malattia.

Ti definisci un dark ottimista, una specie di poeta punk. Ti senti un po’ il Jim Carroll nella scena musicale italiana? Se sì il tuo essere radicato per cui non conformato a quali principi e valori fa riferimento?

La libertà, il valore più grande. Non per ripetermi ma la libertà raccoglie in sé tutti quei principi che i miei genitori mi hanno trasmesso. Per quanto riguarda il punk direi che è più un’ attitudine che io ho alla vita. Ecco, il punk può essere un sinonimo di coraggio per ciò che rappresenta. Il concetto di punk è mettere in discussione se stessi nelle relazioni con gli altri, ma soprattutto punk è quel “gnothi seauton” socratico e poi Virgiliano, che portò Enea a conoscere se stesso in funzione alle sue radici e al suo destino.

Credi che i vari talenti che imperversano nel panorama italiano televisivo e che promettono sogni su misura e quindi conformati siano il male?

Riguarda i talent ho solo un’osservazione da fare che però non è un pregiudizio. Dunque se questi talent venissero realizzati una tantum e non fossero una ripetizione anno dopo anno forse gli stessi talent ricaverebbero più forza come strumento scout alla ricerca di nuove e giovani leve da proporre.

Che rapporto hai con i social network?

Un rapporto morboso che mi rende a-social nella real life (ride). Io sto molto attento a quello che succede in rete. I social mi hanno aiutato molto nello sviluppo del mio progetto musicale. Mi ha fatto conoscere ai più indistintamente dalla fascia d’età. Mi piace mantenere il contatto vivo con il mio pubblico che amo e mi segue.

Tu sei senigalliese trapiantato a Milano. In qualche maniera anche tu hai fatto una immigrazione a breve distanza. Che impatto hanno sul tuo inconscio i barconi che sbarcano a Lampedusa?

Il mio viaggio è abbastanza triste di per se perché non c’è decentralizzazione. Io sono emigrato per lavoro. Basterebbe che la decentralizzazione si ridistribuisse ai livelli più bassi o regionali della stessa organizzazione centrale per creare più opportunità per tutti. Milano, a partire dalla moda, musica e arte è il top delle città. Una città mitteleuropea ieri e oggi un canale di possibilità per coloro che la attraversano e vivono. Dunque alla base la mia partenza fu triste ma mirata alla ricerca del mio “io” come ruolo nel mondo.

di Anita Likmeta su IlGiornaleOff

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Le favole a cui non credo
Java e il pianoforte, ovvero qual è il posto delle donne
Italia Albania: Let’s get physical
Lo ius scholae oltre gli interessi di bottega