Tirana, Albania.

Il patriottismo è l’ultimo rifugio di un farabutto

di Irisa Bezhani

Samuel Johnson aveva ragione nel pensare che il patriottismo fosse l’ultimo rifugio di un farabutto. Dire di essere patriottici in questo momento storico, equivale a dire di essere nazionalisti. Prova a dire a qualcuno che sei patriottico, e quello subito ti guarderà con occhio diverso, cercherà di cogliere tutti quei dettagli, che prima della tua affermazione aveva ignorato, che dimostrano quale spregevole persona tu sia e poi deciderà se classificarvi come un nemico populista. In realtà la mia è un’innocua esternazione. Patriottico per me significa ben altro da quanto uno possa pensare; in un mondo dove il famigerato populismo prende sempre più piede, dove le tendenze sovraniste e isolazioniste si fanno sempre più forti a discapito delle inclinazioni più favorevoli alla globalizzazione e al multiculturalismo, dire di essere patriottici automaticamente ti inquadra nella prima categoria, e di conseguenza in quella dei “cattivi”.

Allora forse bisognerebbe chiarire meglio cosa uno intende per patriottismo, o cosa io intendo per patriottismo. In un Paese come l’Albania, dove la dittatura comunista per quasi mezzo secolo ha creato una società totalmente asservita, piegata dal peso dell’ideologia e della propaganda, il sentimento patriottico ha chiaramente un legame col passato, nel quale lo Stato era Dio. Ma questo sentimento di appartenenza, inteso comunemente con la parola patriottismo, non è, per quello che intendo io, quello malato del regime di Enver Hoxha, ma uno più romantico; una visione della propria patria slegata da complessi di superiorità o da sentimenti negativi verso chi non è uguale a te, anche perché alla fine siamo tutti stranieri per qualcuno; anzi, io trovo che sentirsi sia patriottici che sostenere il multiculturalismo non sia qualcosa di ossimorico.

Anfiteatro romano a Durazzo, Albania.
Anfiteatro romano a Durazzo, Albania.

Ovviamente uno può chiaramente obiettare dicendo che non si sceglie il posto dove si nasce, così come non si sceglie in quale famiglia venire al mondo. Sono d’accordo. Nascere in questo mondo è un caso, ti becchi quello che ti capita. Ma allo stesso tempo c’è quel sentimento di appartenenza, di familiarità che ti lega al luogo in cui cresci. Puoi amarlo, o puoi cercare di distanziartene il più possibile, sono scelte entrambe comprensibili. Come infatti scriveva Fosco Maraini nel suo “Segreto Tibet”, citando un vecchio canto himalayano “La patria è soltanto un campo di tende in un deserto di sassi.”

I confini sono soltanto linee convenzionali tracciate per separare la terra che in fondo è una. Io sono patriottica, io amo il mio Paese, l’Albania, e poiché lo amo voglio che stia bene, che sia un posto bello in cui vivere. La mia relazione d’amore con l’Albania ha subìto diverse fasi. Quando da bambina sono venuta in Italia, la terra delle aquile mi sembrava come un pagina del passato di cui dimenticarsi. Ero proiettata sul presente e sulla mia vita da italiana cresciuta da genitori albanesi. Ma più avanti ho iniziato ad avere quel senso di nostalgia per l’infanzia, per le estati passate al mare, per l’odore delle strade, ed anche quello più sgradevole della spazzatura.

Berat, Albania.
Berat, Albania.

Quando si dice che amare significa anche accettare i difetti dell’altro, allora il mio rapporto con l’Albania è un rapporto d’amore anche per questo. In Albania quasi tutti sono patriottici. Potrai vedere mille bandiere svolazzare tra le grate dei balconi, sentire canzoni che esaltano la nostra terra e le nostre usanze. Bisogna però anche dire che la cultura albanese è, soprattutto in alcune zone del paese, molto arretrata e poco aperta.

Siamo un popolo che è fortemente legato all’onore, alla famiglia, un popolo che ancora deve fare i conti con una società patriarcale, che vede la donna utile solo al matrimonio. Ci sono mille difficoltà in Albania, ma proprio per questo mi sento in dovere di fare qualcosa. Sono molti gli albanesi della diaspora che dopo un periodo di tempo passato all’estero tornano in patria e mettono così a disposizione le loro competenze che hanno imparato altrove. Anche per questo ammiro l’Albania, siamo un popolo migrante, un popolo che vive ai quattro angoli del globo nonostante il nostro sia un piccolo Paese di appena tre milioni di abitanti. Non dobbiamo però farci soffocare da un orgoglio malsano, un orgoglio che rende ciechi alle nostre zone d’ombra. Il senso critico è fondamentale se davvero amiamo il nostro Paese. Io sono orgogliosa di essere albanese, perché il profumo di quella terra piena di contraddizioni mi affascina e mi fa sentire a casa. Sono legata al Paese, nonostante ci sia l’Adriatico a separarci, ed è proprio per questo che ho voglia di cambiarlo, e di migliorarlo.

La mia generazione di albanesi, nella quale ripongo molta fiducia, sarà il futuro del dell’Albania. Siamo la generazione che non ha vissuto la dittatura, e per questo è meno schiacciata dal passato opprimente, siamo la generazione figlia di immigrati, la generazione dei sognatori che ha l’urgenza di creare un’Albania diversa, per tutti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Le favole a cui non credo
Java e il pianoforte, ovvero qual è il posto delle donne
Italia Albania: Let’s get physical
Lo ius scholae oltre gli interessi di bottega