Il romanzo “Verginità Rapite”, adottato come testo di studio alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, oltre ad essere inserito come testo di lettura nelle decine di Istituti e scuole di Sicilia nell’ambito di un progetto del MIUR “Libriamoci, letture ad alta voce”, nonché finalista del Premio Letterario Giornalistico Piersanti Mattarella 2017.
La storia racconta di una ragazza albanese, Mira, che diventerà molto presto donna. Mira trascorre l’adolescenza nell’Albania comunista tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. A seguito di una violenza da parte del segretario del Partito della scuola rimane incinta, ed è costretta ad allontanarsi dalla sua famiglia per non disonorarla. Queste situazioni le cambieranno radicalmente la vita ma non le impediranno, una volta diventata una donna, di perseguire i suoi progetti per costruirsi un futuro migliore. Quando molti anni dopo, ex compagno Estref, l’aguzzino di Mira, afferma che: “Mira è una donna che mette le ali alle donne”, questo è il più grande riscatto di Mira e di tutte le altre donne abusate e maltrattate. Questo è il momento del grande cambiamento; l’aguzzino che ha paura della sua vittima, la quale ha preso consapevolezza di non essere debole, fragile e sola, ma forte, vincente e coraggiosa.
[…] In quel momento, Mira pensò che sarebbe stato meglio essere morta piuttosto che sentire una cosa simile. Non aveva ancora compiuto sedici anni ed era incinta. Anche se non si fosse suicidata sarebbe morta per mano di suo padre. Mira sapeva che l’avrebbe fatto. Ma, assieme a lei, sarebbe morto anche il bambino. In quegli anni l’omicidio per onore, che non era ammesso dalla legge, conferiva il diritto ai maschi disonorati della famiglia della ragazza di ripristinare l’onore immediatamente. Secondo un codice non scritto, l’onore della famiglia dipendeva dalla verginità o dalla castità della donna. Quando la perdita della verginità era evidente a causa di una gravidanza, uno dei maschi della famiglia poteva anche uccidere la ragazza. Vi erano stati casi simili e lo Stato si era limitato a punizioni minime. In tal maniera, questo gesto, veniva quasi legalizzato. L’onore veniva così subito riacquistato, mentre gli uccisori venivano visti come uomini veri che difendevano l’onore della famiglia.
Le leggi scritte, di volta in volta, subiscono modifiche, mentre quelle non scritte non muoiono facilmente. Mira non pensava più a sé, ma al bambino. Avrebbe fatto il possibile per salvare quella creatura innocente. L’istinto più atavico e naturale del mondo le suggeriva di difendere anche con la propria vita la creatura che aveva dentro di sé. L’istinto della madre rappresenta ciò che ha condotto e che ancora conduce la vita da milioni e milioni di anni. I ricordi di Mira di quel giorno sono come avvolti dalla nebbia; prima l’arrivo a casa, l’entrata in stanza, il padre che si toglie la cintura dei pantaloni. Senza dire alcuna parola, aveva cominciato a colpirla. Mira, istintivamente, pensava solo a proteggere il suo ventre, il luogo ove stava suo figlio. Il padre la colpiva con quanta forza poteva. «Meglio che tu sia morta, che piena di vergogna! Ci hai rovinati, maledetta svergognata, eri così vogliosa di un uomo, ma adesso ti farò conoscere io il vero uomo» e continuava a colpirla. Mira pensò che la fine fosse vicina. La madre si avvicinò impaurita al marito. «La stai uccidendo, basta!» e si parò davanti a Mira. «Non hai ancora capito? Ammazzerò lei e quel bastardo che le ha fatto questo. Questa è una vergogna che non posso accettare. Preferisco marcire in carcere, ma solo dopo aver riottenuto il mio onore. Se vuoi rimanere lì, fa’ pure, ma vi giuro sugli ideali del Partito che vi ucciderò entrambe» e prese a colpire Mira e la madre che la stava proteggendo. L’istinto materno trionfò anche in quell’ambiente lugubre, in quella mentalità arretrata in seno ad un’ideologia folle. Mira, nel sentire il padre giurare sugli ideali del Partito, ebbe un colpo. “No, non è giusto”, pensò tra sé, “io e il mio bambino moriremo e il pervertito che mi ha procurato tutto ciò rimarrà vivo, mentre mio padre continua a urlare lodi al suo Partito”.
Con uno sforzo notevole riuscì ad alzarsi in piedi. Il padre, quando la vide sollevarsi senza alcuna lacrima e con occhi rivolti verso di lui, ebbe un fremito alla mano. La osservò inebetito e forse solo in quel momento realizzò che veramente stava uccidendo la sua piccola Mira, la sua dolce Mira. «È il tuo Partito ad avermi fatto questo!» gli disse Mira con decisione. Sia la madre che il padre non capirono nulla. La madre parlò per prima, approfittando dell’esitazione del marito. Ella sapeva bene che il marito avrebbe dato anche la propria vita per il Partito. «Cosa vuoi dire con questo?» chiese a Mira; quindi mormorò al marito di sedersi. Mira pensò a come dirlo, ma in quel momento non aveva alcunché da perdere, doveva condurre la discussione alla sua fine. «Sono stata stuprata e violentata dal compagno Estref» dichiarò infine. Mira ebbe molte difficoltà ad interpretare le facce dei suoi genitori. Nei loro sguardi si potevano leggere sfiducia, stupore, odio e compassione. «Non può essere vero!» disse il padre per primo. Mira si aspettava quella risposta. La sua dedizione al Partito, ai suoi membri e soprattutto al Primo Segretario del Comitato di Partito nel distretto era piena e sincera. Non poteva aspettarsi una tale ricompensa. «Lo posso giurare… è accaduto nel suo ufficio, non sto mentendo» continuò Mira implorante. «Perché non l’hai detto subito?» proseguì il padre. «Avevo molta paura» disse Mira cominciando a tremare. «Paura? – intervenne la madre. – Paura di noi?». Per Mira era una domanda molto difficile e facile nello stesso tempo. La verità facile era che aveva paura dei suoi genitori, della loro possibile reazione per quello che le era successo, ma anche dei pettegolezzi delle persone. Alla gente non importava molto il fatto accaduto, ma il vergognoso risultato conseguito da una giovane ragazza.
La verità difficile era un’altra. «Avevo paura del compagno Estref. Mi ha detto che, se l’avessi raccontato, si sarebbe vendicato». «E come si sarebbe vendicato?» domandò il padre. «Mi disse che si sarebbe vendicato così come aveva fatto con Nikoleta e la sua famiglia» rispose Mira e raccontò loro cosa Estref le aveva detto. Il padre ascoltava e, sebbene una parte di lui non volesse crederci, sapeva che tutto ciò che Mira aveva detto loro era vero. Ricordava piuttosto bene la storia di Nikoleta e della sua famiglia. Allora, quando aveva saputo che erano stati arrestati per agitazione e propaganda, era rimasto stupefatto, ma non aveva pensato che in quella storia Estref avesse avuto un ruolo. Si alzò in piedi e cominciò a camminare nella stanza come un leone in gabbia. «Ammazzerò quella bestia! ‒ esplose infine il padre con voce intrisa di odio – Così non farà più male a nessuno». «Sei impazzito? – urlò la moglie – Torna in te! Vuoi ammazzare il Primo Segretario del Comitato di Partito nel distretto. E tu poi dove finirai? Verrai condannato a morte!». «Non mi interessa che mi condannino a morte. Dopo quello che è accaduto, io sono già morto» mormorò il padre con disperazione. «Ma a noi non ci pensi? Finiremo tutti internati e nelle carceri!» e nel pronunciare quelle parole, la madre di Mira cominciò a piangere.
Il padre di Mira sapeva che sarebbe andata a finire in quel modo. Se avesse fatto quello che aveva in mente, lo Stato-Partito l’avrebbe punito con la morte, senza nemmeno dargli la possibilità di certificare quello che era accaduto a Mira. La sua famiglia chissà dove sarebbe finita… Si sarebbe sentito una nullità poiché non sarebbe nemmeno riuscito a difendere la dignità di sua figlia pur sapendo chi l’avesse violentata. Per la prima volta vide come la dittatura del proletariato, che tanto aveva lodato e supportato, gli si stava rivoltando contro senza pietà alcuna. Questo era il mostruoso sistema che il regime aveva innalzato per tenere il popolo sottomesso. Prima o poi, anche coloro che avevano dato il loro contributo senza eguali per costruirlo, sarebbero stati annientati e schiacciati. Mira non aveva mai visto suo padre piangere. Lo vide quel giorno, ma si comportò come se non fosse successo. Il compagno Estref, in fondo, li aveva violentati tutti.
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