La democrazia è il valore primario di tutte le Costituzioni dei Paesi occidentali, un termine fragile che in sé porta le complessità dei popoli che hanno deciso di abbracciarla. La democrazia è una pianta che può assumere mille forme e vivere in una moltitudine di condizioni.
Platone, per esempio, nel suo trattato “La Repubblica” e precisamente nel dialogo “Politico” ne dà un giudizio negativo, ossia per il patriarca della filosofia greca il governo dovrebbe essere tenuto dai filosofi, o come diceva Bauman in “La decadenza degli intellettuali” dai philosophes i quali potevano essere gli unici veri intellettuali legislatori. Una sorta di tecnocrazia che non trovava invece d’accordo Aristotele il quale temeva che la cosa potesse in qualche modo trasformarsi in tirannide.
Polibio, storico greco antico, nel VI libro di “Storie” distingue tre forme di Stato, la monarchia, l’aristocrazia, e la democrazia e ne elenca a sua volta anche le tre forme negative, la corrispettiva antimateria, ossia tirannide, oligarchia e oclocrazia.
È su quest’ultimo termine, l’oclocrazia, che ci soffermeremo. Il termine che significa letteralmente “il governo della massa“, venne introdotto proprio da Polibio per segnalare una forma degenerata di democrazia, dove a fare da padrone non è più la logos dei filosofi, di cui parlava Platone, ma gli istinti di una massa istigata da demagoghi al fine di ottenere reazioni emotive collettive.
Finché sopravvivono cittadini che hanno sperimentato la tracotanza e la violenza, essi stimano più di ogni altra cosa l’uguaglianza di diritti e la libertà di parola; ma quando subentrano al potere dei giovani e la democrazia viene trasmessa ai figli dei figli di questi, non tenendo più in gran conto, a causa dell’abitudine, l’uguaglianza e la libertà di parola, cercano di prevalere sulla maggioranza; in tale colpa incorrono soprattutto i più ricchi.
Desiderosi dunque di preminenza, non potendola ottenere con i propri meriti e le proprie virtù, dilapidano le loro sostanze per accattivarsi la moltitudine, allettandola in tutti i modi. Quando sono riusciti, con la loro stolta avidità di potere, a rendere il popolo corrotto e avido di doni, la democrazia viene abolita e si trasforma in violenta demagogia.
Polibio, Storie, libro VI, cap. 9
Il potere del Popolo dotato di autocoscienza storica muta in potere dell’ochlos, cioè della moltitudine atomizzata. Lo sapeva bene Hannah Arendt che ne “Le origini del Totalitarismo” spiega come l’atomizzazione della società sovietica fosse stata ottenuta attraverso l’abile uso di ripetute epurazioni che invariabilmente precedevano l’effettiva liquidazione di un gruppo.
Le epurazioni avvenivano in maniera sistematica e l’obiettivo era sempre quello di distruggere i legami familiari, minacciare l’individuo o un collettivo utilizzando il criterio della “colpa per associazione”. Il regime staliniano era riuscito attraverso metodi polizieschi ad atomizzare la società con l’unico obiettivo di isolarlo, di privarlo di quella coscienza creativa che porta l’uomo ad interrogarsi su di sé e a mettersi in discussione con il prossimo. Accadeva allora, come accade in tutte le dittature del mondo.
Un popolo senza Weltbild, ossia senza una concezione del mondo, che vive nell’oclocrazia, diventa strumento animato da acuti demagoghi che si fanno abbracciare da un corpo corrotto, il popolo, capace di trasformarli a loro volta, il corpo, in un organismo parassitario privandolo delle libertà comuni dove l’unica deriva possibile è quella di una disgregazione sociale.
L’oclocrazia è una minaccia alla democrazia, alle libertà comuni, perché è fondata sull’ignoranza e sul conformismo umano. È la strada verso l’antimateria, lontano da quello stato di regole conosciute e condivise, in un non luogo dove l’inesperienza e la non conoscenza si sfogano divenendo la voce di una propaganda ipocrita e convenzionale.
La società dello spettacolo, di cui parlava Debord, dove il rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini assoggetta psicologicamente l’individuo, privandolo, isolandolo alla più totale passività, una sorta di monologo elogiativo sull’ordine presente. L’autobiografia di popoli che rivivono i loro demoni, la loro incapacità di farsi verbo sul gradino della vita. La storia di popoli che camminano scalzi, senza direzione, in preda al panico. Eppure, se solo ci stringessimo la mano l’uno agli altri, l’aria profumerebbe di democrazia.
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