Io non sono uguale a voi, sono diversa. Ma sia chiaro: ciascuna di voi può dire lo stesso. Perché siamo tutte diverse per il bagaglio personale che ogni donna si porta con sé ovunque vada: nel lavoro, nelle comunità dove risiede, in una relazione.
Io sono diversa intanto perché vengo da oltre mare e mi sono dovuta conquistare una cittadinanza in un paese, questo, che adesso è il mio paese, quello dove vivo, lavoro e nel quale pago le tasse: tutte le tasse. E tuttavia sono diversa anche oltre questa circostanza, perché nessuna di noi, e neanche io, può determinarsi soltanto sulla base delle esperienze che ha fatto, o magari ha subito. Piuttosto, sono le scelte che ha fatto a determinarla.
Perché questo siamo: le nostre scelte, il prezzo che paghiamo per compierle. Le parole stesse che usiamo per esprimerle. Le parole. Come italiana che abita nel fashion district milanese ad esempio posso usare la parola “guerra” o “dittatura” in tutta libertà e leggerezza sui social, ma pure voglio ricordarvi che le stesse parole hanno un peso diverso a seconda di chi le usa: io la guerra l’ho vista quando avevo undici anni, in Albania, e lì ho visto anche la dittatura.
Purtroppo, quando uso queste parole, so esattamente di cosa parlo anche se avrei preferito non saperlo. Così, ad esempio, conosco la differenza fra esibire il green pass per cenare in un ristorante al chiuso e tremare alla sola vista della polizia in un paese preda dell’arbitrio di uno psicopatico che fece costruire 170.000 bunker per difendersi dai demoni della propria ignominia.
Conosco la differenza fra l’iperbole retorica, insomma, e la realtà della distruzione e dell’umiliazione sistematica degli esseri umani. Conosco cosa vuol dire nascere e crescere dalla parte sbagliata della storia e la fatica che si fa per attraversare il mare e arrivare dall’altra parte. Da questa parte, insomma, in cui si gode della libertà per cui altri e altre hanno combattuto. Altre che sono ormai lontane nel tempo e nel ricordo.
Questa parte in cui si crede che la libertà, come bene ereditario, sia data una volta per tutte e in cui si fatica ormai a comprendere che se nessun conflitto sorto fra gli uomini è fra bene e mali assoluti, pur tuttavia, ogni volta, c’è una parte giusta dalla quale stare e una sbagliata da combattere. Vorrei allora concludere testimoniando che noi siamo qui, come donne, a fronteggiare le mille iniquità e le troppe storture di quella che è e resta la parte più giusta della storia.
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