Politica

Lo ius scholae oltre gli interessi di bottega

Gentile Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, mi permetto di rivolgermi direttamente a lei, per scriverle di un tema che mi sta molto a cuore e che, soprattutto, sta a cuore a migliaia di famiglie che vivono in Italia e che contribuiscono con le loro tasse all’erario dello Stato: lo Ius Scholae. Sino ad oggi, nessuna forza politica ha affrontato questo tema con quella lungimiranza capace di anteporre l’interesse della Nazione alle contrapposizioni ideologiche. Le numerose famiglie che attendono questa legge per i loro figli nati in Italia, infatti, sono ancora abbandonate a sé stesse senza una risposta concreta da parte delle istituzioni. Le parlo, pur appartenendo allo schieramento avverso, perché a quelli che hanno la mia storia importa soprattutto conseguire un risultato che, in questo momento, è in Suo potere realizzare. Dopo anni di dibattiti, Onorevole Presidente, mi ritengo fra coloro che considerano i risultati concreti e autenticamente innovatori più importanti di quel narcisismo etico che contrabbanda l’irraggiungibilità degli obbiettivi con la comoda consolazione di sentirsi parte di una schiera di “presunti migliori”. Mi rivolgo a Lei, quindi, poiché, in questa impresa, migliori sono semplicemente coloro che la realizzeranno. Personalmente, e per quel che vale, voglio dirle che non mi importa affatto avanzare recriminazioni sul razzismo, del quale, sia chiaro, sono stata talvolta anche vittima, perché non sono le recriminazioni a definirmi come persona e, soprattutto, perché non sono certo quelle a dar forza a questo mio appello. A me importa invece, e tanto, che tutti i bambini che abbiano completato il primo ciclo di studi in Italia, e per i quali quindi l’italiano non solo è la prima lingua, ma, talvolta, anche l’unica che conoscono, siano a tutti gli effetti cittadini italiani. Mi importa che i bambini che pensano in italiano, che sognano in italiano (quando non addirittura in uno dei tanti meravigliosi dialetti che rendono il nostro patrimonio linguistico vivo e pulsante), siano riconosciuti dallo Stato per quello che di fatto sono già a tutti gli effetti: cittadini italiani. Come lei, nata italiana, e come me, ebrea nata albanese, figlia di due diaspore, e finalmente naturalizzata italiana per meriti. Lei, Onorevole Presidente, è perfettamente conscia dell’autunno demografico che segna il nostro Paese e per quanto il Suo governo cerchi di contrastarlo, ritengo sbagliato porre un’alternativa fra politiche di reale inclusione come lo ius scholae e le altrettanto necessarie strategie per incentivare la natalità. Una sinistra e una destra finalmente moderne, emancipate dalle tragedie del Novecento, devono saper leggere la realtà senza infingimenti: promuovere iniziative legislative per la natalità non è in contrapposizione con il riconoscimento da parte dello Stato di chi italiano lo è già di fatto. Il Ministro Sangiuliano ha evocato Dante quale stella polare a cui guardare per immaginare un futuro all’altezza di una nobile eredità secolare. Mi è impossibile allora non pensare alla sua bellissima definizione della nostra Penisola: il “bel paese là dove ‘l sì sona”. Faccio dunque appello a quel coraggio che certo non le è mancato per diventare la prima donna Presidente del Consiglio nella storia della Repubblica: non attardiamoci nel riconoscere la cittadinanza a quei bambini che, quando chiedi loro se han fame, se vogliono un gelato, se vogliono bene ai genitori, rispondono con un sonoro “sì”. E questo perché, per loro, “sì” si dice “sì”, ed è la cosa più semplice e naturale del mondo. Faccio dunque appello alla sua intelligenza, senza tirare in ballo il ricatto morale del cuore che è una moneta sempre fasulla quando parliamo fra donne. Alla sua forza di donna delle istituzioni, più che alla tenerezza di cui è capace come madre, per chiederle di avviare una riforma a difesa dei bambini che, ne sono certa, troverebbe nella maggioranza degli italiani un popolo pronto ad accoglierla, e in lei una leader capace di intestarsi una vittoria in quel campo ormai così poco praticato dalla politica che è il semplice buon senso. La ringrazio di cuore per l’attenzione, e viva l’Italia, la mia e la sua, che sono poi, grazie a Dio, la stessa, unica e indivisibile.

Il reddito alle casalinghe? Forza Italia fotografa l’Italia degli anni 50

La promessa elettorale del candidato Massimo Mallegni non è solo sessista, ma anche pericolosa. La proposta del candidato di Forza Italia in Toscana Massimo Mallegni, in corsa per il Senato, che promette il reddito alle casalinghe non solo è sessista, ma anche pericolosa. Il ruolo di madre e di moglie non può essere considerato un lavoro per il semplice motivo che si tratta di una scelta di vita personale. Una volta equiparata a un lavoro, come ogni lavoro, prevede un datore, qualcuno cioè a cui rendere conto di cosa si fa o non si fa. Nel mondo immaginato da questi finti liberali, sarà dunque il marito a stabilire se la donna avrà svolto bene o male il lavoro per cui è pagata dallo Stato. Il progetto, tipico di una destra illiberale e reazionaria, è quello dell’asservimento delle donne, quello di relegarle in un ruolo di “sorvegliate speciali”, tenute a spazzare, lavare, cucinare e soddisfare il maschio con la benedizione di uno Stato sempre meno laico. So che a tanti magari piacerebbe anche, ma è fuori dalla storia, e le donne non si piegheranno mai a questo disegno di svendita della dignità in cambio di quattro spiccioli. Le democrazie avanzate insistono semmai sui congedi parentali per padri e madri, sul garantire a tutti possibilità di accesso alle scuole materne per i figli, sulla flessibilità del tempo dedicato al lavoro. In definitiva, quella di Mallegni è una proposta che fotografa perfettamente l’Italia degli anni Cinquanta. Peccato che siamo nel 2023.  

Lettera a tutte le comunità albanesi in Italia e in Europa

A tutte le comunità della diaspora albanese in Italia, Il recente vertice tra i 27 Stati membri dell’Unione europea e i sei Paesi dei Balcani occidentali extra-europei si è concluso con un nulla di fatto. La Bulgaria non ha ritirato il veto sulla ripresa dei negoziati di adesione con la Macedonia del Nord gettando così una pesante ombra sul percorso dell’Albania, che è legato a quello di Skopje. Per l’ennesima volta, sulla questione, non è stata raggiunta l’unanimità necessaria. L’Europa, insomma, ancora una volta, non ha tenuto nella dovuta considerazione l’Albania e il popolo albanese. Per quanto siamo consapevoli di rappresentare una piccola nazione, sia in termini territoriali che demografici, riteniamo che l’Europa non possa e non debba dimenticarsi di noi: la nostra stessa storia, il modello di convivenza interreligioso che rappresentiamo, gli sforzi enormi di democratizzazione dopo la triste parentesi della dittatura comunista, sono una patrimonio che dovrebbe essere tenuto nella massima considerazione da un’Europa che, proprio oggi, cerca di affermare i suoi valori fondanti rispetto a un vasto mondo che li mette violentemente in discussione. Tuttavia, noi albanesi non possiamo perderci d’animo: non siamo figli illegittimi di questo Continente, semmai, abbiamo fratelli distratti. Noi albanesi, come e più di altri popoli, conosciamo il prezzo che si paga per la libertà e non faremo un passo indietro sulla strada che abbiamo intrapreso con coraggio e determinazione. Da questo punto di vista, trovo rincuoranti e piene di speranza le parole del Presidente Mario Draghi, che, a margine del recente Consiglio Europeo, ha dichiarato con fermezza il suo appoggio alla causa albanese: “noi vogliamo che l’Albania venga presa e vada avanti da sola, cioè senza essere più bloccata dalle differenze, dalle divisioni che ci sono sulla Macedonia del Nord”. Come su altre questioni dirimenti, dobbiamo dunque sperare che l’autorevolezza di Mario Draghi, possa giocare un ruolo decisivo anche su questa questione. Oggi, come cittadini albanesi sparsi in varie comunità in Europa e nel mondo, dobbiamo dunque farci conoscere meglio, spiegare meglio le nostre ragioni, di nuovo e da capo. Dobbiamo rivendicare il nostro pieno diritto a sedere nel Consiglio Europeo. In questa fase storica ognuno di noi può contribuire come singolo e come comunità a fare la differenza ovunque si trovi, in Italia come in ogni altro paese europeo. È mia ferma convinzione che se noi albanesi, intesi come individui e come comunità, non parteciperemo attivamente per sostenere l’adesione dell’Albania all’Europa, faremo l’imperdonabile errore di abbandonare i Balcani al disegno egemonico dell’impero russo e di quello ottomano. Noi albanesi sappiamo bene cosa significherebbe per le nostre vite: lo abbiamo già vissuto per troppo tempo. Non vogliamo riviverlo di nuovo. Rroftë Shqipëria! 

“La nostra libertà non è un incidente della storia: è tempo di sognare le vite delle generazioni future”

“L’Europa non è un incidente storico”: con queste parole il compianto presidente David Sassoli ci ha lasciato la sua più grande eredità. Mi chiamo Anita Likmeta, sono arrivata in Europa 24 anni fa e sono l’incarnazione di quelle parole. Sono una immigrata, proprio come quegli egiziani, libici, somali, etiopi che vediamo ammassati in centri di accoglienza che tanto accoglienti non sono. Sono una fra le migliaia di persone che anni fa hanno attraversato il mare Adriatico su una nave, sperando di trovare in Europa qualcosa di meglio rispetto allo scenario di morte che si lasciavano alle spalle. Vengo dall’Albania. A casa mia c’era la guerra civile: nessuno di voi qui, per fortuna finora, sa più cosa sia una guerra civile. Nessuno di voi qui sa cosa voglia dire ammazzarsi tra fratelli, tra cugini, tra vicini di casa. Sono oggi alla plenaria di aprile del Parlamento Europeo per dirvi che neanche io sono un incidente della storia. Figlia della diaspora ebraica prima, e di quella albanese poi, l’Occidente per me ebbe da subito i colori dell’Italia: quel paese che sbirciavamo in televisione e che ci sembrava così pieno di promesse e di opportunità, per noi che facevamo i conti con la miseria più assoluta e con la devastazione morale di una dittatura spietata e paranoica. Trovai in Italia un paese pieno di contraddizioni e di chiusure, ma straordinariamente capace di poesia e generosità. L’Italia è riuscita così a darmi quella possibilità di riscatto che non avevo avuto per nascita. E dopo l’Italia, la Francia, dove ho studiato e dove ho potuto comprendere appieno lo spazio di libertà che mi era dovuto proprio in quanto essere umano. Come me, gli ucraini non sono l’altra parte del mondo. Gli ucraini, e noi tra loro, siamo la nuova Europa. Stiamo vivendo l’esperienza dei migranti in casa nostra. Quegli altri siamo noi. E come cittadina europea ringrazio la nostra Presidente Roberta Metsola per il gesto concreto di andare in Ucraina come rappresentante eletta democraticamente da tutti noi europei. Perché alla fine, se rimettessimo indietro le lancette della Storia, ci renderemmo conto che questa nostra libertà non è un incidente, ma è piuttosto frutto delle speranze e dei sogni delle nostre nonne e dei nostri nonni: loro lo sapevano che solo chi parte dalle rovine e dalla distruzione può sognare i sogni delle generazioni che verranno. L’Europa era il loro sogno, io oggi sono una realizzazione di quei sogni. E sono qui per ricordarvelo, per ricordare insieme che abbiamo un’eredità da tramandare e rinnovare: dobbiamo sognare insieme le vite delle generazioni future per come saranno, domani, negli Stati Uniti d’Europa. Gli Stati Uniti dei nostri Padri Costituenti.

Balcani: l’accordo di Prespa sancisce il cambio di nome di Macedonia del Nord

Finalmente l’incontro fra il ministro greco Kyriakos Mitsotakis, il premier albanese Edi Rama e Zoran Zaev, Primo Ministro della Macedonia del Nord, avverrà in settimana ad Atene. Ad organizzare la conferenza è la rivista The Economist per discutere dell’accordo di Prespa che prevede il cambio di nome di Macedonia del Nord. Questo è un incontro molto importante fra questi tre paesi che sono riusciti finalmente a superare le difficoltà sul piano della comunicazione ratificando l’intesa. Questo incontro può rappresentare un nuovo inizio sul piano politico ed economico, oltre a facilitare il processo di adesione in UE per l’Albania. I Balcani rappresentano un ponte importante tra est ed ovest per l’Europa e velocizzare gli accordi è il miglior modo per fronteggiare la crisi, che coinvolge il mondo contemporaneo, e creare nuovi valori e promuovere gli scambi commerciali.

Il rapporto fra Albania e Germania: l’alleanza economica delle due aquile.

Mentre il governo italiano rimane seduto a fronteggiare ciò che resta ancora da dire sul Covid-19, piuttosto promulgare decreti come fossero ciambelle, o addirittura la surreale proposta del bonus alle donne che vogliono fare le manager, la Germania rafforza la sua posizione in Albania, partner strategico dell’Italia da decenni per quanto riguarda l’import e l’export. Le esportazioni dell’Albania verso la Germania hanno visto un aumento rilevante nei primi cinque mesi di questo sfortunato 2020. L’Istituto di statistica albanese ha confermato che a partire da gennaio sino a maggio le esportazioni verso la Germania sono state pari a 6.874 milioni di lek, che è l’equivalente di circa 55.3 milioni di euro, rispetto ai 5.895 milioni di lek dello stesso periodo del 2019, ossia 47.5 milioni di euro. Le esportazioni hanno riguardato principalmente il settore del tessile e calzaturiero, ma un aumento importante è stato registrato anche per il settore dei macchinari e delle attrezzature. La Germania, che fino a ieri era il terzo partner dell’Albania, ha rappresentato il 7.6% del volume degli scambi commerciali con Tirana, e inoltre consolida la sua posizione con ingenti investimenti sul territorio albanese.

Il Governo degli Stati Uniti d’America ha abbandonato i siriani: il caso Ziadeh

Radwan Ziadeh è un dissidente siriano di 41 anni e vive con la sua famiglia in un sobborgo di Washington. Avversario politico del presidente Bashar al-Assad in Siria, Ziadeh è un emigrato politico che vive da dieci anni negli Stati Uniti dove ha ottenuto la borsa di studio presso la GeorgeTown e la Harvard University, e infine dall’Istituto degli Stati Uniti per la pace. Ma l’amministrazione Trump ha inciso sul suo percorso di vita e il signor Ziadeh, circa un mese fa, ha ricevuto in casa una lettera di dodici pagine che riportava la definitiva sospensione del suo asilo politico. Il caso del siriano Ziadeh merita la giusta attenzione perché sottolinea il netto divario che c’è tra la legge americana sull’immigrazione e la sua politica estera. Dopo l’11 settembre 2001 le disposizioni contro il terrorismo sono state rafforzate e negli ultimi tre anni tutti i gruppi di opposizione armati nel mondo sono stati vagliati dal governo statunitense come organizzazioni terroristiche. Chiunque appoggiasse queste “organizzazioni non classificate” , sia finanziariamente che diplomaticamente, veniva squalificato dalla possibilità di ricevere i permessi di soggiorno o di perdere, come nel caso di Ziadeh, l’asilo politico. Ziadeh è un uomo che è sempre stato in prima linea, facendosi il portavoce sulla situazione siriana, ha scritto libri e ha testimoniato al Palazzo del Congresso fino a qualche mese fa, prima dell’amministrazione Trump. La famiglia Ziadeh non riesce a dare una spiegazione logica a tale provvedimento nei loro confronti, i figli di Ziadeh sono nati negli Stati Uniti e ora tutti si trovano spaesati e non sanno più di ciò che sarà delle loro vite. La situazione di Ziadeh è compromessa e riorganizzare una nuova vita è un percorso arduo e spinoso visto le relazioni politiche internazionali, e dove l’opzione di rientrare in patria è inaccettabile considerando le condizioni di guerra in cui imperversa il suo Paese, e visto che su Ziadeh c’è un mandato di cattura in atto dal Daesh che lo ritiene un traditore e una spia degli americani e questo perché Ziadeh ha tenuto nel corso degli anni 2012 e 2013 delle conferenze per discutere e trovare una possibile transazione democratica in Siria. Queste conferenze si sono tenute a Istanbul, in Turchia, dove un gruppo si è autoproclamato comandanti della confederazione chiamandosi Libero Esercito Siriano , mentre l’altro gruppo si sono definiti come i leader politici affiliati alla Fratellanza Mussulmana Siriana. Il governo americano conosceva molto bene entrambi i gruppi e il Dipartimento di Stato americano si è prodigato sostenendoli nella loro lotta, fornendo loro stipendi e armi, in particolare ai membri della Fratellanza mussulmana, i quali hanno giocato un ruolo fondamentale nel Consiglio Nazionale Siriano. L’ex ambasciatore americano in Siria, Robert S. Ford, in risposta a ciò che sta accadendo alla famiglia Ziadeh ha sottolineato in una mail inviata al governo americano che nessuno dei membri dei due gruppi a cui il signor Ziadeh aveva invitato a collaborare potevano essere considerati organizzazioni terroristiche e che la Fratellanza Mussulmana non ha alcuna “connessione amministrativa” con gli altri gruppi dei Fratelli Mussulmani Siriani sparsi nel mondo e soprattutto che Hillary Clinton, John Kerry e l’ex ambasciatore Ford si sono incontrati con la delegazione dell’opposizione che includeva anche i membri della Fratellanza mussulmana siriana. Nella lettera inviata al signor Ziadeh il governo americano ha giustificato la scelta del mancato rinnovo dell’asilo politico scrivendo che il fatto che entrambi i gruppi, sia il Libero Esercito Siriano che la Fratellanza Mussulmana Siriana hanno utilizzato le armi con l’intento di mettere in pericolo la sicurezza dei funzionari del governo siriano, per cui entrambi i gruppi sono stati inclusi tra le organizzazioni terroristiche. Il signor Ziadeh, tramite il suo avvocato Steven H. Schulman, si appella al governo americano e in merito alla decisione presa dall’amministrazione Trump sostiene che farsi portavoce ed invitare i membri dei gruppi di opposizione a riunirsi in una conferenza per discutere del futuro politico della Siria non può essere considerato allo stesso modo di aiutarli materialmente promuovendo le loro agende e che “fornire sostegno materiale ai gruppi” può significare qualsiasi cosa. Il presidente del Refugees International ed ex funzionario dell’amministrazione Obama, Eric Schwartz, definisce la disposizione della legge sull’immigrazione come “un prodotto del periodo post 11 settembre”, periodo in cui nasceva il reparto che si occupava delle organizzazioni terroristiche non designate, pertanto l’agenzia dell’immigrazione ha dichiarato che il signor Ziadeh è un perseguitato politico per cui in  linea con la richiesta dell’asilo politico, mentre secondo il governo americano il sostegno di Ziadeh al Libero Esercito Siriano e alla Fratellanza Mussulmana Siriana è motivo per negare la sua richiesta. “Il governo degli Stati Uniti d’America ha abbandonato i siriani” dice un sterminato signor Ziadeh, il quale sostiene che la scelta del governo americano è un messaggio più grande del rifiuto.