Angela Merkel

Angela Merkel.

Angela Merkel, la Cancelliera d’Europa

di Gëzim Qadraku Nella giornata di domenica 24 settembre in Germania si sono svolte le elezioni politiche. I tedeschi sono stati chiamati a votare i nuovi membri del Bundestag e l’esito è stato quello previsto, ma solo per quanto riguarda il vincitore. Angela Merkel ha confermato le previsioni che la davano come favorita, conquistando il maggior numero di voti per la quarta volta consecutiva. Sono stati i numeri di queste elezioni la vera sorpresa, a partire dai partiti vincitori CDU-CSU, che hanno conquistato il 32,93% con 246 seggi, perdendo quindi una percentuale importante del 9% e ben 65 seggi in Parlamento. Al secondo posto l’SPD di Martin Schulz, considerato il grande rivale, che però non è stato assolutamente in grado di dar fastidio alla Cancelliera, fermatosi al 20%, ovvero il peggior risultato della storia del partito socialista. Molto scalpore ha destato il partito classificatosi sul terzo gradino del podio, l’AFD. Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, un partito di estrema destra ottiene seggi all’interno del parlamento tedesco, ben 94. I numeri sono abbastanza chiari, e non si può che parlare dell’ennesima vittoria di Angela Merkel. Capace di conquistare ancora, dopo dodici anni di governo la fiducia di un importante numero della popolazione tedesca. Questa volta però la dimostrazione di forza è minore rispetto alle elezioni precedenti. È stata lei la prima a mostrarsi delusa, in quanto si aspettava una vittoria schiacciante e ha immediatamente dichiarato che si impegnerà a capire i motivi che hanno portato un numero rilevante dei suoi elettori a cambiare idea. Discorso che si collega in maniera istantanea allo storico risultato ottenuto dall’AFD, il partito anti-establishment, contro l’Islam, l’integrazione europea e volenteroso di una migliore relazione con la Russia. Non bisogna commettere l’errore di pensare che in Germania sia scoppiata una voglia improvvisa di nazismo e razzismo. Il 13% dei voti raggiunti dal partito di estrema destra è  arrivato in gran parte della Germania dell’Est, dove sono stati stabiliti il minor numero di migranti, ma che rappresenta quella parte della popolazione che continua a sentirsi esclusa e dimenticata, nonostante siano passati ormai ben 27 anni dalla riunificazione tedesca. Un partito che però ha mostrato immediatamente le sue debolezze, in quanto nel giorno successivo uno dei leader storici, Frauke Petry, ha dichiarato che non farà parte del gruppo parlamentare. Inoltre, la volontà degli altri partiti è quella di isolare e impedire all’estrema destra di essere in grado di condizionare le scelte del Parlamento tedesco. Nonostante l’importante risultato raggiunto dall’AFD, sulla scia che ha portato alla Brexit e alla vittoria di Trump, non ci sono le basi che possano far pensare ad un ulteriore e maggiore successo del partito che incute così tanta paura fuori dai confini tedeschi. Secondo alcuni osservatori da queste elezioni sia la CDU e soprattutto la SPD ne sono usciti fortemente indeboliti, come mai era capitato negli ultimi 60 anni. Occorre ricordare come in passato rappresentavano la quasi totalità dell’elettorato, mentre oggi ne rappresentano, insieme, poco più della metà. La  sfida più grande che aspetta Angela Merkel è quella di creare una coalizione che le permetta di governare. Dopo il rifiuto di Martin Schulz, l’unica possibilità è quella chiamata Giamaica, per i colori dei partiti che andrebbero a formarla, ovvero CDU-CSU, FDP e i Verdi. Una coabitazione che potrebbe rivelarsi problematica, viste le diverse opinioni che i tre partiti hanno sui programmi e sulle politiche ambientali. Queste elezioni mostrano come anche la Germania, la locomotiva d’Europa, non è così forte e sicura come vuole apparire. La differenza sociale è stato uno dei temi scottanti, adottato da Martin Schulz nella campagna elettorale: “Tempo per più equità. Tempo per Martin Schulz”. Considerato il secondo maggior problema secondo la popolazione teutonica, dietro solo all’immigrazione. Nonostante la Germania sia un Paese molto ricco, con uno dei PIL più alti e con il tasso di disoccupazione più basso d’Europa, la disparità tra ricchi e poveri continua ad aumentare. Il 15,7 per cento della popolazione è considerato a rischio povertà, mentre il 14,7 è già povero. La ricchezza privata dei cittadini tedeschi è più bassa rispetto a quella degli italiani e francesi ed è anche la meno distribuita d’Europa. Basti pensare che il 40% della popolazione possiede meno dell’1% della ricchezza privata del Paese. Un dato curioso è il fatto che la Germania sia uno dei Paesi con la percentuale più bassa di persone che hanno una casa di proprietà, a dispetto dell’Italia, che si qualifica prima in questa classifica che riguarda l’Europa. Occorre sottolineare come uno degli aspetti più positivi dello Stato tedesco – ovvero la disoccupazione media che si aggira intorno al 5,5%- sia  “dopato”, in quanto vengono considerati occupati anche coloro che svolgono un minijob. Il minijob è un lavoro che permette di guadagnare fino a 450 euro lavorando al massimo una quarantina di ore al mese. Uno stipendio con il quale risulta impossibile vivere e che sarebbe l’ideale esclusivamente per i giovani studenti, permettendo loro di pagarsi gli studi. Il Financial Times riporta 7,5 milioni di tedeschi minijobbers. Se per i sostenitori questo tipo di mansione ha creato più possibilità lavorative, secondo gli oppositori sta rimpiazzando i lavori a tempo pieno. Per chi invece ha un impiego a tempo pieno, la probabilità che sia un Leiharbeiter è molto alta. Costui è un lavoratore che viene “affittato” da una Leihfirma – azienda che recluta persone – che molto spesso non è interessata a qualità o capacità del lavoratore, ma il cui unico obiettivo è riempire i buchi che le aziende hanno in quel momento. Quindi una persona stipula il contratto con la Leihfirma e non con l’azienda per la quale lavorerà. Ciò comporta che l’occupazione sarà sicuramente a tempo determinato, che la paga non potrà essere delle eccellenti, anche se esiste la possibilità che l’azienda possa decidere di assumere il lavoratore. Questa è un’ottima chance soprattutto per chi arriva in Germania e ha necessità di trovare immediatamente un lavoro per risolvere i problemi come residenza e assicurazione sanitaria oppure per i cittadini tedeschi con un livello basso d’istruzione. Anche in questo caso però i numeri sono in forte aumento, nel giugno dell’anno scorso erano un milione i leiharbeiter. Questo stratagemma conviene molto alle aziende, in quanto non hanno bisogno di spendere tempo e denaro necessario alla ricerca del personale e possono liberarsene immediatamente dal momento in cui non ne hanno più bisogno. Le Leihfirma assicurano l’entrata nel mondo del lavoro, ma non la permanenza. Riconquistare la fiducia dei tedeschi dell’Est, la gestione del flusso dei migranti, migliorare il sistema del lavoro e impedire all’estrema destra di crescere. Si prospettano quattro anni molto impegnativi per Angela Merkel.

La piccola Angela Merkel, figlia di profughi siriani, simbolo della sottomissione al sistema tedesco

Mamon e Tema Alhamza sono una giovane coppia siriana arrivata in Germania a ottobre del 2015. Oggi vivono nel campo profughi di Duisburg. La signora Alhamza il 27 dicembre ha dato alla luce una bambina chiamandola con il nome più tedesco che c’è: Angela Merkel. Proprio così: Angela Merkel, in onore del Cancelliere tedesco. La piccola Angela Merkel, nata di 3 chili e 300 grammi e lunga 55 centimetri, e la sua mamma Tema stanno bene e sono stati seguiti dall’équipe dell’ospedale St. John di Duisburg. Gli Alhamza sono originari del nord della Siria. I due giovani hanno deciso di emigrare a causa dei combattimenti cruenti tra il Daesh e i curdi. La signora Alhamza era incinta quando si è imbarcata per il viaggio verso l’Europa. “Qui, l’ospedale è fantastico, meglio che in Siria. Mi hanno trattata benissimo”, dice la signora Alhamza. “La Germania è come una madre per noi. Io posso vedere soltanto qui il futuro della mia famiglia”, conclude il padre di Angela Merkel. La piccola Angela Merkel, che gode di ottima salute, è stata registrata all’Ufficio anagrafe della città di Duisburg che non ha fatto obiezioni ai genitori che volevano dare come nome della bambina il nome e cognome del Cancelliere tedesco. Questo non è un fatto del tutto nuovo. Un’altra coppia, originaria del Ghana, ad agosto 2015 ha dato il nome e cognome del Cancelliere tedesco alla propria figlia e secondo la stampa tedesca il numero di queste Angela Merkel di importazione è in continua crescita. In Italia non ci sono casi di immigrati che hanno deciso di chiamare il loro figlio con il nome del presidente del Consiglio Matteo Renzi o di Silvio Berlusconi, scelta che forse non passerebbe neanche il vaglio della nostra anagrafe. Tornando al Cancelliere Angela Merkel e ai suoi numerosi fan arabi che la omaggiano nel modo più simbolico possibile, mi ritorna in mente la guerra inAlbania nel 1997. Ricordo, avevo undici anni, quando una moltitudine di immigrati, contadini dell’entroterra albanese o magari avanzi di galera, videro nella nostra guerra civile la possibilità di scappare e rifarsi una vita in Italia. Tanti di loro chiedevano ai loro figli di inscenare momenti di disperazione. Ricordo addirittura, nella piazza della scuola elementare, quando alcuni genitori ordinavano ai bambini di piangere se solo vedevamo un italiano. Ricordo che dovevamo essere gentili: insomma, noi bambini dovevamo impietosire. In quel periodo, molte donne che diedero alla luce figlie femmine le chiamarono Italia in onore del Paese che si credeva magico dalle nostre parti. Nel caso di figli maschi, i nomi erano Klajdi (Claudio), Marjo (Mario), Xhuzepe (Giuseppe). Alcuni conterranei, che erano partiti con la famosa nave del 1991 e successivamente rientrati, addirittura si prendevano gioco di noi dicendoci che in Italia i soldi crescevano sugli alberi. Per noi bambini l’Italia era un sogno meraviglioso, una terra promessa, sicché impietosire il Signor Pietro della Croce Rossa che distribuiva astucci, quaderni e grandi abbracci aveva un senso. Le numerose Angela Merkel in Germania dai tratti arabeggianti non sono solo un omaggio, ma anche una dichiarazione di sottomissione totale al sistema tedesco. Spesso i bambini rappresentano una polizza assicurativa per gli immigranti perché appunto impietosiscono. Ricordo quando ero una bambina che l’insegnante albanese di lettere ci leggeva una massima scritta dal principe di Marsillac, François de La Rochefoucauld, uno scrittore e filosofo del XVII secolo. Il filosofo francese diceva che “spesso l’umiltà non è altro che una finta sottomissione di cui ci si serve per sottomettere gli altri”.