Bujar Lako

Dastid Miluka

Dastid Miluka: l’artista che dipinge l’Albania!

Dastid Miluka è un artista albanese, un pittore per l’esattezza. Dastid, nelle sue creazioni, ama giocare con i suoi personaggi attraverso un gioco di luci e ombre che sono rappresentativi della realtà. Una parata di immagini contrastanti, colori sgargianti, luci e movimento esplorano il teatro della vita, che trova l’equilibrio nel riflesso dei sogni e degli spettri di Dastid. Dastid vive a Bruxelles, e su Anita.tv racconta il suo percorso partendo dalle sue origini, per poi parlare del viaggio che lo ha condotto fuori dai confini della sua madre patria. Dastid, raccontaci qualcosa di te. Dunque, sono nato a Tirana nel lontano 15 settembre del 1974.  Che ricordi hai della tua infanzia? Ho avuto una infanzia felice, ne ricordo la pienezza e la ricchezza di quel periodo. Quando parlo di “ricchezza” non mi riferisco alla ricchezza monetaria, poiché in quel periodo tutte le famiglie albanesi erano “uguali”, nel senso della condivisione della ricchezza che “apparteneva” al popolo, o almeno questo auspicava il principio della dittatura comunista, mi riferisco ad un altro genere di ricchezza. Io, fortunatamente, ho avuto la possibilità di vivere e di conoscere almeno tre diverse realtà di Tirana e questo mi ha permesso di venire a contatto con diverse realtà sociali che mi hanno dato, di conseguenza, l’opportunità di accrescere la mia sensibilità verso le tematiche sociali che noi bambini di quel tempo affrontavamo. La mia è stata un’infanzia felice, piena.  In quale periodo hai abbandonato l’Albania, e quali ricordi rimembri? Ho lasciato Tirana dopo gli anni ’90 per poi vivere alcuni anni in Grecia. Successivamente, sono rientrato in Albania e dopo un periodo, abbastanza lungo, nel 2003 ho deciso di trasferirmi a Bruxelles, in Belgio. Il mio percorso di vita non è molto diverso rispetto ai miei connazionali, che come me, si sono imbarcati nell’avventura sognando un destino migliore, fuori dai confini albanesi. È chiaro che lasciare indietro la propria terra, la propria città, i propri cari, è un coltello al cuore, ma tu sai che sei forzato ad andare avanti, a lottare. Un sentimento che difficilmente abbandona il mondo interiore, riaffiora ripresentandosi nella sua asprezza, e come se non bastasse, a quest’ultima si aggiunge l’insicurezza di questa lotta per la sopravvivenza; in un Paese straniero con l’impossibilità di darsi risposte sui mille perché che ridondano la mente. Credo che ogni albanese che ha vissuto e fatto il viaggio può comprendere la dimensione delle mie parole.  È stato un viaggio solitario? No. Mi sono trasferito in blocco con la mia famiglia.  Come hai vissuto i primi anni da immigrante? Non so se esiste qualcuno che può raccontare di aver vissuto i primi anni meravigliosamente! Ovviamente non do per scontato che non ci siano le eccezioni. Tuttavia, i miei primi anni non sono stati facili, anzi. È come nascere di nuovo, ripartire da zero, costruire daccapo. La città, la lingua, la cultura, i modi di dire e di fare del popolo ospitante, la loro storia. Ri-familiarizzare con i nuovi amici e integrarsi sono una serie di processi e impedimenti che bisogna necessariamente attraversare.  Parliamo del mondo del lavoro. Ti sei subito inserito? Inizialmente dovevo imparare la lingua, senza dubbio è il primo ostacolo da superare in una terra straniera. Successivamente ho svolto diversi lavori che non avevano attinenze con il mio mestiere di oggi. Come ho specificato prima, bisogna sempre attraversare un processo prima di mettersi in gioco esponendo le proprie capacità, il proprio talento, oppure, nel mio caso, l’arte. Perché hai scelto Bruxelles? Mio padre già viveva a Bruxelles da diversi anni, quindi ho deciso di fermarmi lì. Quì, ho conosciuto i musei e le possibilità che questa città mi poteva offrire e che senz’altro nell’Albania di quegli anni non avrei potuto trovare. Bruxelles mi ha rapito con il suo surrealismo. È una città che ha una grande tradizione nell’arte, soprattutto nell’arte figurativa. Bruxelles è una città mitteleuropea e questo facilita la possibilità di muoversi su diverse e interessanti piazze europee come ad esempio Parigi, Londra, Amsterdam ecc. Per non parlare che Bruxelles sta conoscendo una rinascita per quanto riguarda le arti figurative e questa fa sì che la città sia attraente sotto molti punti di vista.  Possiamo dire che oggi sei un artista molto apprezzato in Europea. Nel tuo lavoro, qual è il tema che ti sta più a cuore? Sono diversi i temi che la mia sensibilità abbraccia; certamente sono molto colpito dall’umanità, nel senso più stretto delle sfaccettature dalle attitudini alle abitudini degli uomini. Credo che queste tematiche sono la centralità del mio concepire l’arte. Ho un modo del tutto personale nel sfiorare questi temi e che nel tempo ho imparato a definire con più precisione. Per me è molto importante ricercare quei sentimenti già elaborati lungo il processo della creazione, e i rapporti che si stabiliscono attraverso i personaggi oppure le differenti situazioni in cui si trovano. È un lavoro che insegue l’altro, come uno spirale storico. Mi percepisco come un cassiere o un coordinatore della ciclicità che si riferisce ad ognuno inseguendo un filo conduttore. Mi piace lasciarmi andare e selezionare liberamente, e fidarmi del mio istinto originale per poi continuare a sviluppare l’idea fino al suo completamento. La mia è una creazione tempestiva che assume diverse forme. Per me è importante liberarmi nel processo della creazione, per comunicare le mie opere al pubblico.  Quanto c’è dell’Albania nel tuo lavoro? Penso che c’è sempre. Mi considero un artista molto legato alla Patria. Mi sono allontanato dall’Albania in un’età dove il carattere come individuo e artista era ben definito per cui ho conservato tutto dentro di me. Impossibile allontanarmi dalle mie radici, anche non volendo le radici incidono sulla visione di chiunque concepisce arte, in ogni sua forma.  Hai mai pensato di far ritorno in Albania? Senz’altro, non escludo mai l’idea di tornare a vivere nel mio Paese.  Secondo te, quali sono i lati positivi e negativi dell’Albania? C’è molto da discutere su questa domanda ma cercherò di precisare alcuni punti: ciò che trovo di molto positivo in Albania è la natura. Tra i tratti che contraddistinguono l’Albania è la ricchezza naturale che l’intero territorio possiede, a partire dalla flora e alla fauna. Per non parlare poi dei prodotti agricoli. Queste peculiarità possono essere fondamentali per il processo dello sviluppo turistico e per la crescita economica, che ad oggi è il problema principale. Certamente c’è molto da fare in questo luogo traumatizzato dalle scelte politiche, economiche e sociali effettuate nelle ultime due decadi. Voglio valorizzare ciò che in questi ultimi anni è stato fatto e penso che c’è un cammino positivo considerando le soluzioni ai molti problemi che abbiamo ereditato dal passato e queste vanno affrontate e regolate come tutte le altre. È necessario affrettare i tempi per cavalcare l’onda di questo periodo storico che certamente vede i Balcani come un punto chiave nelle politiche internazionali, e in questo l’Albania può rivelarsi il punto strategico.  Come avrai notato c’è un malessere nei giovani che vogliono espatriare che si esprime  soprattutto nei Paesi del Sud Europa. Lo stesso problema è sentito anche in Albania. Come lo interpreti questo desiderio?  È evidente che questo è una tematica molto delicata che ci riguarda tutti a livello europeo. È chiaro che l’interesse di emigrare per studiare o trovare possibilità lavorative migliori è un diritto che dovrebbe appartenere a tutti. Penso, che in Albania, questo tema è molto sentito a causa del caos socio-economico  attraversato in questi ultimi anni che noi continuiamo a chiamare come “una fase di transizione” che sfortunatamente sta andando un po’ per le lunghe. Bisogna distinguere la capacità di movimento che possono avere i giovani europei rispetto ai giovani albanesi che vengono limitati a causa di scelte politiche che ridimensionano il fenomeno permettendo così, ancora oggi, viaggi illegali  causando una piaga molto grande rispetto allo scenario che si potrebbe prospettare se ci fossero politiche economiche d’integrazione con la possibilità di individuare e di reinserire i giovani nel mondo del lavoro con possibilità di crescita. Credo che questa tematica dovrebbe essere la priorità nella politica del governo attuale, e di quelli che verranno.  Credi che l’Albania, ad oggi, risponde ai canoni per entrare nell’Unione Europea? Non mi va di esprimermi in merito, perché non sono un esperto in materia. So che bisogna raggiungere degli obiettivi per poter accedere ed essere alla stessa altezza dei Paesi membri. Tuttavia, credo che l’Albania è in Europa e questo non solo dal punto di vista geografico, penso che il futuro dell’Albania e degli albanesi non può che andare verso l’Europa.  Che rapporti hai con l’Albania, ma soprattutto con gli albanesi di oggi? Il mio legame con l’Albania è spirituale. Lì ho la famiglia, parenti e amici, per i quali cerco di essere sempre presente, quando posso. Cosa ti colpisce ogni volta che torni in Albania? L’energia, la vitalità.  Nel 2016, l’Albania ha perso uno dei suoi più grandi attori. Bujar Lako. Come hai vissuto questa perdita e che legami avevi con lui? È una grandissima perdita per l’arte, per il cinema  albanese. Io appartengo a quella generazione che è cresciuta con i suoi film, che fanno parte, ormai, della memoria di tutti, indelebilmente. La cinematografia albanese ha avuto una grande fortuna nell’aver avuto, e poter ad oggi annoverare, un grande attore come Bujar Lako. Film come “Gjeneral gramafoni”, oppure “Udha e shkronjave” non sarebbero risultati uguali se non ci fosse stata la meravigliosa interpretazione  di questo grande maestro. Credo che Bujar Lako ha lasciato una eredità molto grande all’arte albanese e sono convinto che egli sarà un punto di riferimento per molti in futuro.  Di cosa ti stai occupando ora, stai realizzando una nuova esposizione in Europa? Sono in procinto di lavorare su un nuovo ciclo di opere che porterò in esposizione. Si tratta di un processo che richiede diversi mesi, un suo tempo insomma. Fino ad allora preferisco rimanere in silenzio e non pronunciarmi, almeno fine alla fine di questo nuovo ciclo. 

Enkland Hasa, Ph. Carlo De Mitri.

Ekland Hasa: il pianista che veniva dal mare

Chi è Ekland Hasa, da dove viene?  Sono un pianista nato il 15 novembre 1966 a Tirana. Qual è stato il tuo percorso di studio?  Il mio percorso parte ovviamente a Tirana in Albania dove ho frequentato il liceo artistico Jordan Misja dove ho avuto come docente Pranvera Xhiorxhi, per poi proseguire gli studi all’Università delle Arti a Tirana dove ho avuto l’onore di avere come professoressa la grande Anita Tartari.  In cosa ti sei specializzato? Fondamentalmente io sono un pianista, un interprete del pianoforte. Ho scritto anche delle opere stile pop, ho realizzato una colonna sonora e alcune romanze vocali ma nonostante ciò non riesco a definirmi un compositore. Scrivere musica ed essere un compositore sono due cose diverse per me. Ultimamente ho lavorato molto facendo il maestro sostituto che significa essere un preparatore di cantanti lirici.  Sei figlio d’arte, ho letto. Diciamo che la mia famiglia mangia pane e musica! Mio padre faceva parte del corpo di ballo al Teatro dell’Opera a Tirana, mentre mia madre è una violoncellista. Mio fratello Redi è uno dei violoncellisti più richiesti al mondo, infine mia moglie che è una cantante lirica.  Insomma, non siete una famiglia silenziosa… Ah ovviamente non posso non menzionare mio figlio il quale, seguendo le orme della famiglia ma questo senza essere mai condizionato da noi, studia musica ed è molto appassionato del melodramma.  Quali sono stati i tuoi Maestri principali nel percorso che hai fatto in Albania? I miei maestri in Albania sono stati Lali Gabeci, Pranvera Xhiorxhi ed Anita Tartari e Ludwig Hoffman che aveva un suo gruppo artistico. Tutti loro hanno lasciato in me un’impronta indelebile. Se posso essere fiero di chi sono diventato oggi certamente il merito va a questi maestri che ho appena elencato.  Beh, diciamo anche alla tua forza di volontà, si può dire.  (sorride) La tua storia è speciale, tu come molti, durante gli anni ’90, sei emigrato in Italia. Cosa ti ricordi di quel periodo?  Sono partito per l’Italia insieme ad un gruppo di artisti con permessi regolari. Me lo ricordo molto bene quel giorno. Era il 15 di novembre del 1991, il giorno del mio compleanno. Urca se faceva freddo! Mi sentivo spaesato, ma non ricordo di aver avuto paura, ricordo l’ansia, quella maledetta agitazione che mi attanagliava dentro. I secondi erano ore, i minuti settimane, le ore mesi. Un viaggio che non finiva più. In compenso con me c’erano compagni di viaggio che conoscevo bene. Kledi Kadiu, Ilir Shaqiri, Gaqo Cako e altri colleghi artisti i quali festeggiarono il mio compleanno regalandomi sorrisi e pacche sulla spalla perché tutti quelli notte guadavamo l’un l’altro negli occhi coscienziosi e decisi che in Albania non avremmo fatto più ritorno. Un viaggio doloroso, quello di tutti noi, ma indispensabile. L’Albania degli anni ’90 era un Paese invivibile.  Sei partito solo? Io all’epoca partii con la mia fidanzata che poi è diventata mia moglie. Hai scelto di fermarti in Italia, eppure un talento e professionista come te poteva correre verso Paesi più fecondi, più redditizi. Perché questa scelta? Semplice la risposta: l’Italia era il Paese più vicino a noi. Un Paese molto simile sotto il profilo geografico climatico ma poi molto diversa dal punto di vista culturale e mentalità. Oggi mi rallegro quando penso che le cose sono cambiate nel giro di 26 anni.  Hai trovato subito lavoro nella tua professione oppure hai faticato facendo altro nei primi anni?  Grazie ad alcuni amici, ai quali sarò grato per sempre, trovai lavoro subito. Iniziai a dare lezioni private di pianoforte. Poi, in quel periodo, cominciai a suonare tanta musica Jazz, un genere che a me era sconosciuto perché non accettato durante il Comunismo in Albania. Il Jazz è stato bandito in Albania per tanto tempo, ricordo molto bene quando alla undicesima manifestazione della canzone albanese vennero bloccati coloro che volevano presenziare con questo genere. Tempo addietro mia moglie mi fece capire che forse avremmo dovuto proporre questo genere, almeno fare il tentativo, al Teatro Nazionale di Tirana. Presi coraggio, grazie anche alla meravigliosa donna che ho accanto, e preparai un concerto e per mio stupore la cosa ebbe un successo enorme. Mi sono appassionato tantissimo al Jazz tanto che l’ho suonato per anni imparando moltissimo dai grandi jazzisti italiani, senza dimenticare ovviamente il mio primo amore: la musica classica.  Ormai è noto a tutti che tu, oggi, sei uno delle certezze di Albano Carrisi, come è stato il vostro incontro?  Ho conosciuto Albano Carrisi nei primi anni del 2000. Un mio amico, un violoncellista, mi disse che Albano stava cercando un bravo insegnante per sua figlia Cristel. Il mio amico mi chiese se fossi interessato al lavoro. Ovviamente, d’impulso, accettai subito! Ora ti racconto una cosa.  (Ekland si mette a ridere) Ho rischiato di cadere dall’albero e di farmi male sul serio quando Albano venne in concerto in Albania. Cosa che non avrei dovuto fare e che non rifarei mai per nessuno.  (E continua a ridere) Ero un ragazzo. Insomma, ricordo che mi sono presentato a casa di Albano e lui con modi molto discreti mi chiese di suonare e fargli sentire qualcosa del mio repertorio classico. Mi sedetti davanti al pianoforte, e quando la mia mano prese da se ad accarezzare quel meraviglioso strumento da cui fuoriuscirono le prime due note Albano mi fermò e mi disse: “Quando puoi iniziare a impartire lezioni a Cristel?”.  Negli anni, in Italia, ti sei affermato diventando uno dei pianisti più stimati e amati sia dal grande pubblico che dall’ambiente underground e quello d’êlite. Cosa pensi quando ti fermi a ricordare il viaggio che ti ha portato fino a qui? Quali i dolori? Quali le speranze?  Io rifarei tutto quello che ho fatto. Non è semplice realizzarsi nel campo musicale, per non parlare di riuscire a mantenersi anche economicamente con quello. Credo però che con la costanza, l’umiltà e la perseveranza ognuno può penetrare il proprio l’obiettivo. Per me fare il musicista è un’esperienza di vita bellissima, non c’è nulla al mondo a cui posso paragonarlo. Per me non c’è nulla di più bello di quello regalarmi attraverso la mia arte alle persone, credo sia l’obiettivo di chiunque faccia questo mestiere. Dico sempre che l’artista è un poveraccio che fa la vita da ricco! Come vedi l’Albania oggi? Pensi mai di ritornare a viverci? In una parola “work-in-progress”. L’Albania è un Paese in evidente crescita economica e culturale, ogni volta che faccio ritorno per lavoro la trovo sempre più diversa, poi non so effettivamente come è viverci in pianta stabile.  E degli albanesi, cosa ne pensi? Trovo che gli albanesi che sono emigrati negli anni ’90 continuano a conservare nella loro intimità familiare i valori della cultura albanese, mentre quelli che sono rimasti li trovo un po’ cambiati, alcuni nel bene e altri peggiorati.  E l’Italia. Come vivi oggi il Bel Paese?  Sento spesso dire che l’Italia era un Paese bellissimo negli anni 60’ e ’70 e ’80, mentre oggi, come tanti Paesi europei, si trova a far fronte a problematiche che riguardano un po’ tutti i Paesi dell’Eurozona. Poi credo che ogni periodo di difficoltà è anche una  grande possibilità per crescere, imparare e magari scoprirsi più forti.  Sei Direttore di un piccolo ma importante Teatro a Lecce. Raccontaci questa esperienza?  Devo precisare: ho diretto il teatro dal punto di vista artistico ma ho avuto anche l’occasione di organizzare diversi spettacoli da sovrintendente culturale. È una responsabilità enorme, ma come dicevo prima, in Italia oggi è tutto molto difficile a causa di una burocrazia asfissiante, quando si tratta di scadenze e magari salti o ti dimentichi ritardando di un giorno finisci che devi pagare la mora ma quando si tratta che devi percepire un compenso dalle istituzioni può accadere di aspettare anche quasi due anni. Questo non aiuta, non ti motiva a fare sicché comprendo le ragioni di coloro, giovani e non, che tentano la fortuna in Paesi più elastici e propensi ad aiutare a far crescere il cittadino.  Che rapporto hai con i tuoi connazionali? Sono molto fortunato perché ho avuto l’occasione di coltivare le mie amicizie sin dall’adolescenza, oggi molti di loro sono riusciti a realizzarsi nella vita, nell’arte e questo non può che rendermi molto felice. L’amicizia per me è un grande valore e mi sento amato almeno quanto amo e credo che sia questo il senso più profondo della vita.  L’Albania ha perso una delle sue icone più grandi. Bujar Lako. Voi eravate molto amici. Come hai saputo e come vivi la sua scomparsa?  Bujo! Parlare di Bujar Lako mi è estremamente difficile. Io ho avuto legame molto importante, molto forte, con la famiglia Lako in quanto sua moglie Mira Lako è stata la mia prima insegnante di solfeggio nonché amica di mia madre.  Bujo non era solo amico mio, ma era l’amico di tutti gli albanesi. Bujo era onesto, sensibile, professionale, amabile, umano, rispettoso, un talento immenso. Bujo viveva per la sua arte, amava sua moglie Mira e suo figlio Bojken, la sua famiglia. Ci sentiamo tutti un po’ orfani senza di lui, ma io credo che Bujo è e rimarrà sempre nei paraggi, ad osservare come era solito fare, a scrutare le vite degli altri, a vegliare su di noi. Attraverso i suoi film vivremmo sempre la sua grandezza e umanità, la profondità di questo grandissimo artista.  Ci puoi raccontare un episodio di vita con lui che ti porterai per sempre nel cuore? Ricordo l’ultima voce a Lecce, parlammo per ore e ore della cinematografia e lui che attraverso la sua magnetica voce mi raccontava di aneddoti, di storie, di Robert De Niro, di Al Pacino e tantissimi altri. La cosa che mi colpì in quella conversazione fu quando mi raccontò che non aveva mai preso parte alla Prémiere di un suo film perché non riusciva a reggere l’emozione.  Quali i tuoi progetti nel futuro prossimo? Ti vedremo di più in concerti oppure teatri?  Con il beneplacito del buon Dio continuerò a fare concerti in giro per il mondo finché potrò. Quest’anno, per esempio, lavorerò in Giappone, in Cina, in Europa e naturalmente in Albania che continua a darmi grandi soddisfazioni come quella del concerto dei “Tre Tenori” organizzato da Tullumani Produksion. Prossimamente rientrerò in patria, su invito del nostro grande tenore di fama mondiale Josif Gjipali,  per un concerto in onore del decimo anniversario dell’ospedale americano a Tirana. Infine, cosa si augura per il futuro Ekland, un uomo che può dire di avere avuto due vite, diviso tra Oriente e Occidente. Mi auguro la felicità, spero di poter continuare a fare il mio mestiere, mi auguro di regalare pace e sorrisi ai miei spettatori. 

Bujar Lako

Bujar Lako: quel padre che non ho avuto

“Pronto? Ciao Anita.” “Buongiorno Sig. Lako, che piacere la sua chiamata.” “Chiamami Bujo, per favore. Ho letto la tua sceneggiatura e l’ho trovata bellissima, poetica e non ho potuto non amare il personaggio di Ibrahim, il ruolo che hai pensato per me. Allora ci vediamo l’8, ti vengo a prendere all’aeroporto. La mia è una macchina piccola, ti dispiace se ti vengo a prendere con quella?” mi chiede. “Ma no, figurati, anzi, grazie mille per la tua disponibilità.” Venerdì 8 giugno 2012, dopo quasi 15 anni che avevo lasciato il mio Paese natale, decido di fare ritorno in Albania. Quando la portiera dell’aereo si apre, mi si stringe lo stomaco per l’emozione. Le gambe mi si muovono con fatica. Mi affaccio dall’uscio della carlinga ed il profumo mi avviluppa in un abbraccio, silenzioso. Sono tornata a casa. Poi, con la mia piccola valigia mi avvio verso la dogana, di quella linea invisibile che ci divide dall’UE. “Ecco, la mia carta d’identità” dico al poliziotto. Lui mi guarda, e mi fa un sorriso. Poi con un tono di voce basso, mi dice “Bentornata signorina Likmeta.” Nell’atrio dell’aeroporto mi guardo intorno. Non vedo nessuno che conosco, tuttavia le facce mi suonano come familiari. “Anita, sono qui. Girati!” una bellissima voce, mi chiama. È lui, Bujar Lako. Gli vado incontro, lui mi abbraccia paternalmente, ma io sono molto timida e ancora troppo incredula di essere tornata nello stesso Paese dal quale, tanti anni prima, ero scappata. “Bujo, grazie per essermi venuto a prendere. Sei molto gentile.” “Non potevo lasciarti sola.” ed io, sempre più timida, accenno ad un sorriso, seduta accanto alla sua macchina color arancio. Poi, la strada verso la capitale. Abbasso il finestrino, e osservo tutti quei cartelloni. Tutto è così diverso qui. “È cambiato, vero?” mi chiede lui. “Non è più come te lo ricordi, immagino.” aggiunge. Con le lacrime agli occhi, accenno un “sì”. Allora lui, mi appoggia una mano sulla testa, come fanno i padri con le loro figlie, il padre che io non ho mai avuto. Rimane in silenzio, aspettando che io dica qualcosa. “Mi si stringe il cuore se ti vedo così. Dai che stasera ti porto a mangiare cibo albanese, la cucina italiana la mangerai quando rientri a Roma.” Arrivati in centro a Tirana, lascio la valigia in albergo, per poi scendere di nuovo e andare a fare un giro per la città. Ci fermiamo ad un Bar in centro. Ci sediamo. “Un succo di frutta per me.” dice Bujo al cameriere, “lo stesso, grazie” chiedo al cameriere. “Allora, dimmi un po’: sei appena tornata dalla Francia, ti stai laureando, mi hanno dette cose belle di te.” mi dice sorridendo. “Faccio quello che mi piace, non sempre è facile. Come questa sceneggiatura.” gli dico, e mentre cerco di scrollarmi l’imbarazzo, una sagoma di uomo ci raggiunge. “Eccolo, lui è il grande Dritan Huqi, un giovane produttore che stimo molto.” dice Bujo, con gli occhi pieni di fierezza per il suo amico. “Allora Dritan, dovresti leggere la sceneggiatura di Anita, è piena di poesia. Sarà un bel film. Il mio ruolo è quello del nonno della bambina, la protagonista. Dai Anita, leggi una piccola parte, ti prego.” Apro la sceneggiatura, e vado a leggermi la parte finale del film, che è un monologo. Passano circa 5 minuti, e quando alzo la testa chiudendo l’ultima frase del monologo, Bujo ha gli occhi pieni di lacrime. Poi la sera scende su Tirana, quando la preghiera dell’Imam suona il suo rituale in tutta la città. Sabato 9 giugno 2012. Sono le 7 del mattino, e io sono già nel bar dell’albergo a fare colazione. Bujo mi raggiunge, ha portato con sé un grande libro. “Eccoti, questo è un libro che hanno pubblicato, e dove è riportata tutta la mia carriera.” dice lui mentre me lo autografa. “Allora facciamo così, scriverò anch’io qualcosa qui accanto, perché mi voglio ricordare di questo giorno per sempre.” gli dico, e prendo a scrivere. Bujo mi porta a vedere il teatro Nazionale di Tirana, poi tutto il Boulevard, le viuzze della città. Sono meravigliata nel vedere case che cadono a pezzi, accanto ai palazzi magnifici. “Io penso che c’è ancora molto da fare qui in Albania. Personalmente credo che la diaspora albanese darà comunque i suoi frutti, vedrai che nel tempo molti rientreranno portando con sé le loro esperienze e capacità. Io credo che l’Albania giocherà sempre un ruolo importante nella politica estera. Così lo é stato nel passato, e continuerà ad esserlo.” dice Bujo. “Non é semplice pensare di rientrare per me, come non lo credo lo sia per tutti gli altri. Ognuno di noi si è costruito una vita altrove, e ricominciare daccapo sarebbe traumatico per me; ho investito tutta la mia vita ad integrarmi in Italia, e l’ho fatto non soltanto attraverso la cittadinanza che ho appena acquisito, ma proprio ho incorporato quella cultura, l’ho fatta mia. Il mio modo di ragionare è frutto del mio viaggio in Italia e poi in Francia.” rispondo. “Lo capisco. Ma sai Anita, prima o poi, nella vita, si ritorna sempre da dove si è partiti. Si torna sempre a casa.” dice lui, e poi scuote la testa, burlandosi di me. La giornata continua tra discussioni politiche accese, e le storie di grandi attori. Poi Bujo convince il suo amico Dritan ad accompagnarci fino al paese dove sono cresciuta. Arriviamo a Maminas; la strada è completamente diversa, saliamo verso Bilalas fino ad arrivare a Rrubjekë. Scendo dalla macchina. “Bujo, non posso andare senza portare un mazzo di fiori.” Bujo si aggira per la piazza, e assieme, troviamo un piccolo negozio che vende dei fiori, anche se di plastica. Felice di aver trovato quel piccolo dono, mi avvio verso il cimitero, mentre Bujo e Dritan rimangono fuori ad aspettarmi. Sono rapita da un fiume di lacrime nel vedere quel camposanto abitato da così tante persone che avevano riempito con la loro presenza la mia infanzia. Dopo 15 minuti circa, poggio i fiori sulle tombe dei nonni, e raggiungo la macchina. Dritan si mette alla guida, Bujo gli è seduto accanto mentre io sono sul sedile posteriore; ancora non riesco a smettere di piangere mentre ricordo i miei nonni. Raggiungiamo Lalsi dove pranziamo. Qui, a Lalsi, è pieno di palazzi in costruzione; vedo il mare, e si mangia benissimo. Finito di mangiare, Bujo vuole che andiamo anche a Durazzo. Si sta facendo buio, ma lui me lo aveva promesso, e non vuole venire meno alla sua parola. Durazzo. È sera. Piena di gioventù, la città è completamente diversa rispetto a come l’ho lasciata io nel 1997. Un lungo giro, e siamo pronti per rientrare a Tirana. Ho viaggiato per la prima volta sull’autostrada Tirana-Durazzo: non ci sono più le buche che ricordavo. Ad ogni chilometro che faccio, vedo fabbriche, soprattutto italiane. Durante il viaggio, Bujo mi racconta un po’ la storia post anni ’90. Bujo non si stanca mai di ripetere quanto importante sia la democrazia e il viaggio verso la Comunità Europea; non lo ritiene una opzione, ma l’unica possibilità credibile da percorrere per un Paese come l’Albania. Bujo crede nell’integrazione, nel multiculturalismo, crede nel viaggio dell’individuo come l’unico modo per vincere se stessi. Una volta raggiunta Tirana, vengo accompagnata in albergo. “Allora, fai un buon viaggio di rientro. Poi ci sentiamo con calma per parlare del film. Continua ad essere come sei, e sorridi più spesso, perché sei bella; non nasconderti. Per qualsiasi cosa, Bujo c’è.” mi dice, e poi mi stringe in un abbraccio eterno. Vado a dormire. Al risveglio, sono le 5 del mattino, chiamo un taxi che poi mi porta all’aeroporto. All’arrivo in dogana, il cellulare vibra, un messaggio: “Cara Anita, grazie per essere venuta fino a qui. Ho apprezzato ogni momento che abbiamo trascorso in questi due giorni. Leggere la tua sceneggiatura, mi ha aiutato a capire la persona che sei. Lo so che potrei sembrare fuori luogo, ma io credo che ogni uomo avrebbe voluto avere una figlia come te. Sei in gamba e talentuosa; sei piena di luce. Non cambiare mai. Ognuno di noi ha i suoi demoni da combattere, le sue partite da vincere, la sua vita da compiere, ma ti prego, e te lo chiedo da padre, non lasciare mai che la vita ti indurisca. Continua a lottare, perché tutto andrà bene.” Buon viaggio a te Bujo, e grazie per essere stato per me, in tutti questi anni, il padre che non ho mai avuto.