Lulzim Basha

Elezioni in Albania, cosa ci possono insegnare le giovani democrazie

Manca meno di un mese alle elezioni in Albania, e, come ogni volta, noi expat cerchiamo di informarci, di comprendere le ragioni delle parti in lotta. Lo facciamo sapendo che il nostro sguardo ha, allo stesso tempo, il pregio e il difetto della distanza. Facendo un passo di lato, dall’altro lato dell’Adriatico nel mio caso, le cose si vedono nella loro oggettiva interezza, ma di certo si perdono dettagli fondamentali e passaggi essenziali. Torna in mente la celebre frase di Heisemberg, secondo la quale quando diciamo che “se conosciamo in modo preciso il presente, possiamo prevedere il futuro”, non è falsa la conclusione, bensì la premessa. Perché, dice Heisemberg, “in linea di principio noi non possiamo conoscere il presente in tutti i suoi dettagli”. Ci mancano dunque i dettagli, le sfumature, ma intanto, quando pensiamo alla bandiera dell’Albania, vediamo l’aquila a due teste, che per noi simboleggia un doppio sguardo: da una parte il passato, dall’altro il futuro. Ma più ancora, proprio in questo simbolo crediamo si possa ritrovare il coraggio di una identità multiforme: tra Occidente e Oriente sorge la forza di questa giovane nazione.  La sfida delle elezioni, certo, è di quelle già viste, ma questo non significa che sia meno interessante o che l’esito sia scontato. Come nell’ultima tornata del 2017, Lulzim Basha del Partito Democratico sfiderà Edi Rama, attuale Premier in carica del partito socialista. Da una parte abbiamo dunque Rama, il grande comunicatore, l’uomo che si espone in primo piano, che conosce perfettamente gli strumenti del consenso e i colpi di teatro (la battuta è implicita ma voluta, anche se forse comprensibile soltanto ai lettori albanesi). In Italia hanno tutti apprezzato moltissimo il fatto che sia volato in piena pandemia a portare la solidarietà del popolo albanese: una mossa saggia e strategica, eseguita con tempismo perfetto. Ma per gli albanesi Rama è soprattutto l’uomo della ricostruzione post terremoto: quello che ha bussato alle porte dell’Europa e ha saputo farsi aprire. Dall’altra abbiamo Basha, l’uomo cresciuto nelle istituzioni nazionali ed internazionali, un carattere assai più schivo, quasi reticente. A suo agio più negli uffici del Palazzo che non in mezzo alla gente, Basha sconta forse questa percepita distanza dall’uomo della strada. E tuttavia ha l’aria di chi si mette lì, studia e trova una soluzione: è a lui che dobbiamo la libera circolazione degli albanesi in area Schengen. Sullo sfondo della contesa, resta però per noi expat soprattutto l’Albania, il Paese che vorremmo ritrovare comunque vadano le elezioni. Una terra in cui abbiamo sofferto le atrocità della guerra civile, da cui siamo dovuti fuggire con niente in mano e il cuore pieno di dolore, una terra della quale, di anno in anno, guardiamo con orgoglio e timore il riscatto. Timore perché, sia chiaro, l’Albania è una democrazia ancora giovane, in cui i conti col passato sono stati fatti forse troppo in fretta e in cui certi fantasmi si aggirano ancora indisturbati.  Orgoglio perché, se la terra delle aquile qualche volo importante ha imparato a farlo, allora è proprio nello specchio di questa democrazia giovane, con un futuro di sviluppo ancora tutto da costruire, che i Paesi europei possono trovare ispirazione per rimettere in campo il primato di una politica che sappia fare la differenza. Gli asset economico strategici del Paese offrono possibilità importanti di crescita, in qualche caso persino oltre le aspettative. Se era già chiaro agli investitori internazionali, negli anni appena passati, che il turismo poteva rappresentare opportunità importanti, lo sarà a maggior ragione adesso che l’Europa si appresta, pur con tanta fatica, a lasciarsi alle spalle la crisi pandemica. Insieme a questo, chi si troverà al comando della nazione dovrà però comprendere a fondo che il turismo sostenibile, quello che porta vera ricchezza, è sempre più legato a un’offerta esperienziale più che al puro e semplice consumo di un luogo. In altri termini, in futuro non basteranno le sdraio sul litorale, per quanto meravigliose siano le coste albanesi. Si dovrà invece preservare e rendere oggetto di narrazione il “genius loci”, lo spirito del luogo. L’Albania dovrà insomma ritrovare l’orgoglio della propria multiforme cultura, intendendo questo termine nel senso più ampio possibile: dalla valorizzazione della tradizione agroalimentare alla ricerca di quella straordinaria complessità di ramificazioni che legano il popolo albanese al resto d’Europa. Proprio nell’ottica della tanto agognata adesione all’Unione europea, l’Albania ha l’opportunità, ora più che mai, di lavorare su quei “notevoli sforzi necessari” atti a migliorare le condizioni indicate dall’UE per l’acquis: dall’ambiente ai controlli finanziari, dalla giustizia alla sicurezza nel rispetto delle libertà civili, dai media ai diritti fondamentali. Allo stesso modo, gli investimenti nell’industria manifatturiera, in un’ottica di ripresa dei consumi su scala globale, potranno stimolare ancora la classica economia di delocalizzazione favorita dal costo del lavoro. Ma se questo è ciò che è lecito aspettarsi, resta ancora una miniera di opportunità da sondare, che, a mio modesto avviso, rimane l’asset strategico più importante da cui trarre un impulso che potrebbe rivelarsi davvero decisivo nei prossimi anni. Ed è appunto qui che la mia storia personale mi fornisce elementi per elaborare la visione che ho dell’Albania del futuro, per come vorrei che fosse. Perché sono, di fatto, figlia ed erede di due diaspore, sia come ebrea che come albanese. E se c’è qualcosa che deve insegnare a un popolo l’aver vissuto l’esperienza tragica della diaspora è che, alla fine, da un elemento di debolezza iniziale, si può ricavare una chiave di accesso privilegiato al mondo globalizzato. Mi riferisco alla ricchezza più grande di cui può godere un individuo e, per estensione, il popolo a cui appartiene: il capitale delle relazioni umane. Proprio quest’anno, che cade il trentennale di quel grande esodo che spinse il popolo albanese a scappare dalla propria terra, conviene a chi si contende il governo della nazione tenere a mente un semplice dato: sono circa 2 milioni gli albanesi che vivono oggi fuori dai confini del Paese, principalmente in Italia, Germania, Austria, Grecia, Inghilterra, Francia e Usa.  Tutti con una storia dolorosa alle spalle, la gran parte di loro (di noi) si è rimboccata le maniche e si è data da fare. Dove vivo io, in Italia, gli albanesi hanno aperto aziende edili, lavorato con maestria e coscienza, hanno mandato i figli a scuola, li hanno fatti laureare. Ermal Meta ha conquistato Sanremo, io ho aperto qualche start up di successo, Klaudio Ndoja gioca nella nazionale di basket. Potrei andare avanti per ore con esempi su esempi, ma quello che conta davvero è che ciascuno di noi expat rappresenta un piccolo patrimonio di relazioni internazionali su cui l’Albania dovrebbe poter contare. Certo, si parla sempre a titolo personale, ma in questo caso voglio arrogarmi il diritto a farlo in nome di tanti expat che immagino possano pensarla come me: siamo a disposizione, vogliamo dare una mano. Non tanto perché riteniamo di dover restituire qualcosa, sia chiaro. Piuttosto, perché, proprio in quanto albanesi, non vorremmo mai che altri figli di questa terra, che ancora sentiamo nostra, dovessero mai rivivere quello che toccò vivere a noi.

L’Albania ha bisogno di albanesi e di Europa!

Il fatto che il Primo Ministro Edi Rama scelga il salotto di Porta a Porta di Bruno Vespa per discutere dei disordini avvenuti nelle ultime settimane in Parlamento a Tirana potrebbe far pensare che la situazione sia più grave di come possa sembrare. Eppure, trovo che sia normale che questi dissidi trovino luogo in un Paese che ha una democrazia così giovane. Trovo fisiologico che ci si scontri, piuttosto che l’opposizione faccia la sua battaglia anche fomentando e portando il suo elettorato in piazza. L’Albania sta facendo un grande percorso di ricostruzione, iniziato 28 anni fa, e da imprenditrice che ha aperto un’azienda nel Paese, una società che si occupa di informatica, penso che il Paese delle aquile sia interessante e che offra dei vantaggi fiscali considerevoli. Il viaggio verso l’Unione Europea è ancora lontano visto che dobbiamo ancora adempiere i requisiti per l’ingresso in UE, ma non è più un sogno impossibile. Da giornalista invece trovo necessario l’intervento del Primo Ministro nella Tv italiana, visto i rapporti economici fra i due Paesi, come trovo curioso il fatto che il capo dell’opposizione Lulzim Basha, il pupillo di Sali Berisha, faccia delle accuse così pesanti invece di presentare e informare l’UE in merito ai presunti brogli elettorali piuttosto dello stato attuale sul cartello dei narcotrafficanti. Winston Churchill diceva che “I Balcani producono più storia rispetto a quanto ne riescano a digerire” e questa affermazione trova la sua veridicità in quanto la naturale degenerazione della politica albanese in questi giorni, che ha visto l’opposizione abbandonare e minacciare il Parlamento è una situazione complessa da spiegare, quanto difficile da dimostrare in quanto mancano documenti che attestino i fatti concreti. Il problema principale degli albanesi è la tanto agognata adesione all’Unione Europea per vedersi facilitare l’emigrazione verso Stati europei più promettenti rispetto alle possibilità di vita che ci sono attualmente in Albania. Se è vero che da una parte il lavoro svolto negli ultimi trent’anni è stato ingente, dall’altra parte l’Albania non è stata capace ancora di sradicarsi completamente dal cordone ombelicale con il passato. Il problema è culturale, perché in quel silenzio assordante che ha caratterizzato il mezzo secolo del regime hoxhaista sono stati un po’ tutti complici, senza stare troppo a sottilizzare sulle impossibilità dovute alle pressioni che facevano quelli della Sigurimi. Penso che oggi più che mai sia necessario aprire un tavolo di discussioni e riflettere sullo status quo delle cose perché è così che avviene in democrazia. Sento spesso dire dai miei connazionali che in Albania vige una dittatura, e allora io mi chiedo cosa è la vera dittatura? Ci siamo già dimenticati gli anni di Enver Hoxha? Qualora aveste ragione, come mai, mi chiedo, sia possibile che la vostra voce arrivi fuori, come è possibile che riusciate ad opporvi senza essere deportati nelle carceri dello Stato come avveniva sotto il regime di Hoxha. Non è che i disordini in Albania siano voluti e che ci siano forze oscure dietro che hanno come obiettivo la destabilizzazione dell’area balcanica al fine di indebolire il progetto e l’area europea? Non sarebbe l’ora di planare questi disordini e controversie per rimettersi in carreggiata e magari vedere negli altri Stati dell’area balcanica una opportunità per creare una Unione economica forte piuttosto che continuare ad alimentare e perpetuare politiche di stampo sovraniste? Non vorrei che, come accadde con le piramidi finanziarie, ci illudessimo che gli aiuti possano venire da fuori, perché l’Albania ha bisogno degli albanesi, perché l’essere europei non è un luogo, ma uno stato dell’essere. Ed è da lì che dovremmo cominciare noi.

Elezioni albanesi: la tregua difficile

L’instabilità della situazione politica che si è creato in Albania in questi ultimi tre mesi a causa del boicottaggio alla vita parlamentare da parte dell’opposizione e dal suo leader Lulzim Basha, finalmente si è arenata grazie all’intervento della visita del diplomatico americano Donald Lu, il quale è riuscito nella difficile impresa, che fino a poche settimane fa sembrava impossibile, a far dialogare i due fronti politici, protagonisti delle prossime elezioni posticipate di una settimana, ossia 25 giugno. Il diplomatico americano, perno fondamentale di questa ritrovata stabilità, è riuscito a raggiungere l’obiettivo nel trovare una sintesi tra le due principali entità politiche albanesi, ma soprattutto ad aggirare il pericolo in cui l’opposizione avrebbe potuto boicottare anche le elezioni di giugno, previste inizialmente per il 18, riuscendo così a delegittimare il futuro governo. L’azione diplomatica americana è riuscita nell’ardua trattativa tra le due parti, cosa che ha visto fallire invece le istituzioni diplomatiche europee. L’incontro tra il Partito Socialista, che ha il suo Leader in Edi Rama, e il Partito Democratico con Lulzim Basha si è realizzato in un ampio e condiviso accordo tra le parti. L’accordo inevitabile e di capitale importanza è stato necessario per garantire ulteriore trasparenza a tutto il processo elettorale. In questa ingarbugliata ed incresciosa situazione, è giunta da Bruxelles il rapporto in merito all’implementazione delle riforme economiche, il quale nonostante abbia verificato un miglioramento nel Paese, ha tuttavia incentivato la promozione di misure restrittive in ambito fiscale, spesa pubblica, ma soprattutto la lotta alla corruzione, punto dolente nel Paese delle Aquile. Fino a qui tutto bene direbbe qualcuno, ma è difficile riporre le armi e dormire tranquilli in una situazione come questa, è noto a molti che l’instabilità in quest’area balcanica, dovuta anche all’irrisolta questione del contenzioso sul Kosovo tra l’Albania e la Serbia che cela vecchi rancori mai sopiti, influisce sullo status quo delle cose divenendo così un punto sostanziale della campagna elettorale di Edi Rama, il quale, in una intervista rilasciata ad un quotidiano albanese, non ha nascosto il suo desiderio di riuscire a concretizzare il progetto di una unione economica con il Kosovo visto e considerando i lunghi tempi necessari per entrare in UE. Questo processo naturale di aggregazione è stato già intrapreso dalla Serbia nei confronti della Bosnia Erzegovina, che vede in quest’ultima un partner ideale per avere uno sbocco sull’Adriatico. Alla fine dei conti, possiamo concludere che i dissidi storici fra albanesi e serbi, ad oggi sono soltanto estetici e non hanno più alcuna rilevanza politica sullo scenario internazionale. Tuttavia, lo scenario politico albanese non si presenta tra i più promettenti, se consideriamo che l’accordo raggiunto nella giornata di ieri potrebbe sgretolarsi per i reciproci sospetti e pretese tra i due partiti politici di maggioranza i quali, oltre all’accordo che apparentemente ha riportato la tregua, hanno deciso ambedue di voler correre da soli alle elezioni, senza dare spazio alle possibili coalizioni pre-elettorali che garantirebbero ad entrambi una il raggiungimento di una solida maggioranza in Parlamento. Questa scelta, che potrebbe risultare inusuale in termini di strategia, trova il suo fondamento nell’articolo 162 del codice elettorale, il quale attesta che in caso di mancate alleanze pre-elettorali i partiti vedono innalzarsi lo sbarramento al 3%, azzerando il rischio sia per il partito socialista che quello democratico. A guardare la situazione non possiamo non notare come le minoranze in Albania siano abbandonate del tutto a se stesse, sul tavolo dei giochi sono assenti i loro rappresentanti. È un tragitto scivoloso quello intrapreso dai due maggiori Leader, offuscare la rilevanza che queste minoranze etniche hanno sul territorio albanese significherebbe aggiungere delle crepe ad una Storia che ancora deve presentarsi a se stessa. Tale scelta, non potrà che sfociare a lungo andare in una inevitabile insurrezione da parte delle minoranze che si vedono costrette ai margini della res publica albanese. La strada verso l’agognato sogno europeo per il popolo albanese è ancora lungo ed arduo, ma certamente possiamo dire che queste elezioni si presentano come un punto fondamentale per il raggiungimento di tale obiettivo.