Sali Berisha

Anita Likmeta

La ragazza di Durazzo si candida in politica in Italia: non dimentico le mie radici!

di Valeria Dedaj La giornalista e blogger Anita Likmeta, grazie al suo bagaglio professionale e la sua volontà di agire, è oggi una delle candidate di uno dei gruppi politici che sta facendo più parlare in Italia, 10 Volte Meglio. In questa intervista racconta i ricordi che custodisce per il suo Paese natio e il suo desiderio di contribuire all’Albania. Anita custodisce caramente i ricordi di un’infanzia trascorsa tra le colline di Rrubjekë, nell’entroterra albanese, quando sognava grandi storie di cui sarebbe stata la protagonista. E con tanta intransigenza Anita Likmeta conserva i valori come la verità, l’onestà e l’integrità come parte inseparabile di lei. Nota per il suo contributo nel mondo della tecnologia e dell’innovazione, all’impegno sulle questioni sociali e all’attenzione sul fenomeno dell’immigrazione, Likmeta si racconta in esclusiva su “Shekulli“, dove condivide emozioni, storie e i suoi piani per il futuro, compresa l’Albania. Se torniamo indietro nel tempo, quali sono i ricordi che salva dell’Albania? Se penso alla mia infanzia, penso alle colline di Rrubjekë. Ricordo quando le terre erano statali, l’immagine di donne e uomini che imbracciavano le loro zappe dirigendosi al lavoro. Ricordo gli abiti modesti, e dai colori opachi, che coprivano le gambe stanche delle donne, le quali affondavano le zappe coordinandosi tra una zolla di terra e l’altra. Ricordo quando mi dissero che mia madre era partita per l’Italia con la prima nave assieme alla sorellina e al fratellino, di appena 9 mesi. Il caos post regime, il primo giorno di scuola a Rrubjekë, il comizio dell’allora Primo Ministro Sali Berisha nel piazzale della scuola gremita da contadini urlanti che vedevano in lui un miracolo, l’eroe che li avrebbe condotti in una dimensione di vita migliore. Ma così non fu e non poteva esserlo. Ricordo gli anni delle piramidi finanziarie, mio zio, che nonostante gli sforzi del nonno a farlo ragionare, vendette casa ma poi perse tutto, e infine disperato e umiliato partì per la Grecia per fare un lavoro misero perché ai cittadini albanesi di quegli anni erano stati depredati anche da quei pochi averi che avevano. La quiete che precedeva la guerra civile del 1996-97. Ricordo quando la TVSH trasmetteva le lezioni per i bambini perché non potevamo andare a scuola a causa delle sommosse in atto. Ricordo le parole di mio nonno che mi diceva che gli albanesi sono un popolo con una grande storia ma che 50 anni di dittatura hanno piegato lo spirito critico nelle persone, il regime ha indebolito la volontà di farsi voce, di farsi coraggio. Nonno era un socialista liberale, e prima di partire per l’Italia mi raccomandò di studiare, mi chiese di non dimenticare mai le radici perché prima o poi si torna sempre da dove si è partiti. Quali erano i suoi primi sogni per il futuro? Da piccola amavo leggere, lessi tutti i libri di cui l’istituto elementare disponeva. Quando rientravo da scuola e portavo a pasciare le pecore nelle terre con mio cugino, mi portavo sempre con me racconti di autori stranieri come Gianni Rodari, piuttosto i classici greci che ho amato tantissimo. Onestamente da piccola non mi era ancora chiaro cosa avrei fatto concretamente, ma sognavo grandi storie di cui sarei stata la protagonista. Eccellevo negli studi, amavo dipingere e avrei voluto studiare arte, ma vivevo in campagna e i nonni erano troppo anziani e non avrebbero potuto seguirmi. La partenza per l’Italia, come è avvenuto? Aveva solo 10 anni, quali i ricordi di questo viaggio sconosciuto per lei? La partenza per l’Italia è un ricordo vivo nella mia memoria. Erano circa le undici del mattino quando io e la mia famiglia partimmo da Durazzo, salita a bordo raggiunsi la poppa e stetti lì tutto il tempo a guardare i volti delle persone. C’era tanta gente, tanti bambini, le loro urla, e poi i pianti. Persone, che forse, si salutavano per l’ultima volta. Stetti lì, aggrappata a quell’istante, all’immagine della mia terra rimpicciolirsi, ad ogni metro. Raggiungemmo Bari nella notte del 3 giugno del 1997. Ricordo i controlli della polizia italiana, le strade illuminate, e poi gli autogrill, e l’odore dei cornetti caldi al cioccolato. Molti albanesi ricordano i loro inizi discriminatori. Ma quanto si è sentita straniera in Italia, e ci sono state persone che le hanno dato una mano per alzarsi, anche moralmente? La prima difficoltà che ho trovato è stata la lingua, trascorsi tutta l’estate a studiare la grammatica italiana perché avevo bisogno di comunicare, di raccontare, di misurarmi con i compagni italiani. Poi le lingue sono diventate una passione per me, oggi ne parlo sei. Sono stati Socrate, Platone, Seneca, Virgilio, Dante, Boccaccio, Petrarca, Manzoni, Marx, Nietzsche, Goethe, Dostoevskij, Čechov, Puškin, Brecht, Levi, Arendt, de Beauvoir, de Saint-Exupéry, Silone, Spinelli, Hajdari ecc. a crescermi, a motivarmi e a credere che potevo realizzare qualsiasi cosa io avessi realmente voluto, e così è stato, nonostante tutte le difficoltà. L’Albania è sempre presente nei miei pensieri. In Italia ha concluso gli studi liceali ed universitari. Poi Parigi è stata un’altra destinazione nella sua formazione. Cosa può dirci in più? Dopo la maturità classica, ho conseguito gli studi all’Accademia di Arte Drammatica “Corrado Pani” a Roma dove ho studiato drammaturgia. Successivamente mi sono iscritta e ho conseguito la laurea in Lettere e Filosofia all’Università degli Studi “La Sapienza”. Poi ho vissuto a Parigi, per due anni, dove ho potuto approfondire gli studi in Filosofia, e dove ho avuto l’opportunità di lavorare ad un documentario in cui ho intervistato artisti, politici, comunicatori, scrittori tra cui Ismail Kadaré. Durante i suoi studi a Parigi ha lavorato ad un saggio storico in merito alle relazioni tra l’Albania e l’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma qual’è il suo rapporto concreto con la sua terra natia durante questo periodo di 20 anni? L’Albania è sempre presente nei miei pensieri, inoltre in Italia sono Co-Founder di una Holding di Comunicazione che si occupa di Digital Transformation e abbiamo sedi in 3 Paesi europei tra cui l’Albania, dove abbiamo una società, Bit2Be Shpk che si occupa di software. Cerco nel mio piccolo di contribuire, anche se mi piacerebbe molto mettere a disposizione le mie conoscenze e professionalità al servizio dell’Albania. Attrice, giornalista, blogger, e non solo. Dove si rispecchia di più Anita? Sopra ogni cosa, a me piace fare. Trovo che sia la cosa più bella in assoluto vedere le tue idee prendere forma. Ad oggi posso dire che, nonostante la storia di cui sono stata co-protagonista assieme ad altri albanesi, ho vissuto la vita che volevo. Non sono attaccata alle cose, tutto ciò di cui ho bisogno è sempre con me. Ho imparato che tutto è in perpetuo movimento e che siamo davvero nulla dinanzi ai grandi eventi della vita. Verità ed integrità sono per me i valori più alti.  Infine, è tra le candidate di un gruppo politico in Italia. Cosa puoi dirci in merito a questo movimento? Il movimento politico nazionale di 10 Volte Meglio è un gruppo composto da professionisti, imprenditori, manager, a cui potrò contribuire portando i miei valori perché oggi più che mai ritengo sia necessario prendere posizione per cambiare lo status quo delle cose. Trovo che in Albania ci sia una continuità ambigua tra il vecchio e il nuovo. Quali sono i suoi obiettivi in questo settore della politica? L’Italia è il Paese in cui ho scelto di vivere, il Paese che, vent’anni fa, mi ospitò dandomi la possibilità di studiare e soprattutto gli strumenti per potermi sollevare e realizzare nella vita. Per me queste sono ragioni più che valide che mi spingono oggi a fare qualcosa per contribuire a un’Italia che sia capace di rispondere al fenomeno della globalizzazione e in grado di misurarsi con le sfide di un’economia mondiale sempre più interdipendente. Perché credo in un’Italia inclusiva, che sia davvero multietnica e multiculturale e che veda nei “New Italians” non un problema, ma una reale risorsa dalle potenzialità ancora inesplorate. Credo nei valori europei del Manifesto di Ventotene, che superino il modello comunitario verso una politica continentale realmente federale e che abbia all’orizzonte il grande sogno europeo cresciuto con la generazione Erasmus: gli Stati Uniti d’Europa. Questo mio impegno nasce dalla profonda convinzione che quello che stiamo vivendo oggi sia un cambiamento tecnologico senza eguali nella storia. Per questo ritengo che una nuova politica debba essere in grado di dare le giuste risposte ai problemi etici e sociali che questo fenomeno comporta, rimettendo sempre al centro le persone. Che cosa pensa dello sviluppo della politica albanese, cosa la incuriosisce? Ha mai sentito il sostegno della politica albanese quando era immigrata?  Nei miei articoli parlo spesso della politica albanese. Ho seguito con molta attenzione le elezioni, e sono rimasta molto colpita dal malcontento generale dei cittadini albanesi, nei loro commenti leggevo la resa, come se votare fosse una perdita di tempo verso uno status quo delle cose già predefinito. Ecco, io credo che bisognerebbe istillare il senso civico in Albania, ma soprattutto sarebbe fondamentale creare una Commissione per la verità e la riconciliazione nazionale albanese, perché credo ci sia una continuità ambigua tra il vecchio e il nuovo, ma che soprattutto non abbiamo dato volti e nomi a quei criminali e a quello storia da cui dovremmo tutti prendere le distanze. Questo sarebbe un piccolo, grande passo sociale verso un’Albania liberale. Per rispondere poi alla tua domanda, non ho mai sentito il supporto della politica albanese, ma sono certa che avranno avuto il loro gran da fare in questi anni. Tuttavia, la sua vita è concentrata sull’Italia, ma ha mai pensato di ritornare in Albania. Se sì, quale sarebbe il contributo che potrebbe dare? Diciamo che non escludo nulla, come dicevo prima mi piacerebbe poter contribuire in maniera visibile e concreta in Albania, mettere il mio bagaglio di esperienze e professionalità al servizio della collettività, e avrei già alcune idee valide, se avessi il sostegno del governo albanese potrei agire diversamente ed essere più veloce. E infine, quali sono i progetti di Anita per il futuro, anche in politica? A breve termine, sogno l’Albania in Europa. Quello che so per certo però è che rimarrò la stessa bambina sognatrice delle colline di Rrubjekë, e in ogni caso integra ed onesta.

Alex Majoli © : Magnum Photos

Albania: i giorni dell’odio

Sono trascorsi più di venticinque anni da quando ci furono le prime e libere elezioni in Albania che videro la vittoria di Sali Berisha. Correva l’anno 1992, le città, i paesini e le campagne albanesi erano finalmente libere dal regime comunista di Enver Hoxha. “Siamo liberi” urlavano. “Evviva gli americani” aggiungeva qualcun altro. Le prime navi cominciavano ad abbandonare le coste del Paese in direzione dell’Italia. La mia famiglia era salpata sulla prima di esse, alla volta di Bari. Il mio villaggio si svuotò nel giro di pochi mesi. Nessuno ci riportava notizie, eravamo sconnessi completamente dal resto del mondo. Per fare una telefonata dovevamo camminare a piedi, o a galoppo di un mulo, e fare migliaia di chilometri per raggiungere Maminas, l’unica città che aveva un servizio telefonico pubblico. Le nostre giornate trascorrevano lente, inesorabili. C’era un gran silenzio per le strade. Se non fosse per il fatto che ogni famiglia aveva le armi, di fondo, si poteva dire che non era cambiato nulla rispetto ai giorni della dittatura rossa. Eppure qualcosa stava cambiando, noi che abitavamo nei villaggi eravamo completamente all’oscuro dei fatti che accadevano a Tirana. Trascorrevano settimane prima che una notizia ci raggiungesse. Nel frattempo le scuole riaprirono, io iniziavo la seconda elementare. Ricordo con lucidità il giorno in cui il Primo Ministro Sali Berisha venne a farci visita a Rrubjekë. Il suo arrivo aveva radunato tutti i paesani che lo ascoltavano con attenzione e interesse. Tutti, fummo colpiti dalle parole di Berisha perché non capivamo a quali terreni si riferisse, i contadini erano stati abbandonati a se stessi. Di colpo eravamo passati da un’economia di tipo pianificato alla privatizzazione dei terreni agricoli. Non c’era ordine, giorni, settimane, mesi e anni che trascorrevano nella frustrazione e incertezza, eravamo in balia degli eventi. Così, quando le piramidi finanziarie comparvero come la soluzione a tutti i nostri problemi ci abbandonammo con leggerezza, investendo tutti i risparmi, addirittura c’è chi vendette le proprie case e il proprio bestiame nella speranza di guadagnarci qualcosa. E quando la bolla delle piramidi scoppiò, il popolo era stato già denudato. Non avevamo più nulla. Eravamo soli. Eravamo arrabbiati. Eravamo abbandonati. I civili impugnarono i fucili e si versarono nelle piazze. Si sparava ovunque. Ricordo che la nostra vicina di casa venne colpita da un colpo, e morì tra le urla dei familiari. Per i vicoli vedevo adulti che insegnavano ai bambini a sparare. Quella guerra ci persegue tutti, come in un brutto incubo. Fece uscire il peggio di ognuno di noi. Eravamo piccoli, separati gli uni dagli altri. La dittatura che avevamo vissuto per mezzo secolo ci aveva resi deboli, ci aveva piegato e così rispondemmo con la debolezza, fu questo il nostro peccato.

Rinascita dell’aquila a due teste (parte II)

(…) Possiamo dedurre che l’Italia come la Comunità internazionale hanno inciso nello sviluppo dell’economia albanese, ma è necessario sottolineare un fatto molto grave che dovrebbe farci riflettere, ossia quella dell’induzione al liberismo economico. Questo liberismo ha portato nella classe politica albanese la perdita di vista dell’interesse per il bene comune a favore della collettività capitalizzata. La classe politica italiana ha effettuato le stesse politiche di Mussolini, in quanto è più vantaggioso attivare politiche di sfruttamento piuttosto che riforme atte a modificare e a far crescere il paese sotto ogni profilo. Durante questa fase di invasione economica non si è provveduto al mantenimento di una rete sanitaria piuttosto che alla salvaguardia degli artigiani. L’Albania ha stretto rapporti con gli Stati internazionali al fine di ottenere fondi europei che puntualmente arrivano a Tirana, superando ogni altro paese dell’Est europeo, ma questi aiuti spariscono all’arrivo nella Capitale. L’incapacità della classe politica albanese di saper gestire le fonti economiche porta il settore pubblico ad essere pericoloso per le politiche internazionali. Ma nonostante queste dinamiche poco convenevoli è necessario sottolineare un altro aspetto fondamentale della realtà economica degli albanesi: le rimesse degli emigrati. Gli emigrati, di cui la maggioranza in Italia a seguire la Francia, la Germania e Austria etc., hanno sostenuto il processo di trasformazione delle città albanesi. Gli emigrati. grazie alla loro permanenza all’estero e al lavoro, sono riusciti a ricostruire le loro abitazioni in Albania dando decoro e trasformando radicalmente le città, ma soprattutto hanno investito con i mezzi moderni, e le loro attività imprenditoriali hanno influito fortemente nel settore economico. Grazie anche alla stabilizzazione della moneta albanese negli ultimi anni in Albania si può parlare di una vera primavera economica. Un risveglio potente, visibile nel numero delle imprese attive a Tirana ma va detto che questo è avvenuto anche tramite l’intervento di un processo economico informale dettato dalla poca chiarezza di alcune società imprenditoriali che agiscono borderline, cioè al limite della legalità. L’industria continua la sua crescita sempre in salita come anche il settore agricolo che tuttavia mantiene un ruolo fondamentale nell’economia albanese, nonostante quest’ultima ha visto un ridimensionamento del 70% in tutto il Paese. L’Albania, oggi, sta passando da un’economia di tipo pianificata a quella capitalizzata attraverso una struttura amministrativa che ha delle forti difficoltà nel sancire un processo evolutivo nel risanamento economico dovuto specialmente alle pressioni che vengono inflitte dalla classe politica al potere poco presente. Oggi in Albania il governo di Edi Rama sta attuando delle riforme sul piano politico al fine di provvedere un ingresso di maggiori investimenti e per far fronte, in special modo, al debito pubblico che nel 2012 ha superato registrando il 60% del Pil. Ma non sono i problemi economici a fermare il movimento di rinnovamento del Paese che ha portato un contro esodo degli albanesi che rientrano nella propria terra riprendendo in moto ciò che avevano abbandonato durante i tempi delle società piramidali. Da sottolineare il fatto che ad investire in Albania sono maggiormente società tedesche, olandesi, austriache e infine americane. Le società italiane che lavorano in territorio sono in numero minore e sicuramente rappresentano una realtà inferiore rispetto alle altre multinazionali. Inoltre l’Albania fa parte dell’organizzazione Nato per cui rappresenta un punto di svolta per l’occidente che necessita di mantenere gli occhi ben aperti sulla situazione Medio-Orientale. L’Albania, di nuovo, rappresenta un punto strategico tra l’Oriente e l’Occidente. Chiaramente la presenza delle truppe Nato dichiara l’appoggio incondizionato dello Stato albanese, ad un eventuale presa di posizione sul piano militare, agli americani. LEGGI ANCHE: – Il post precedente dell’autrice, Rinascita dell’Aquila a due teste (parte I) Il lavoro svolto in precedenza dal presidente Berisha cioè quello dell’adesione dell’Albania alla Comunità Europea lo sta portando avanti anche il nuovo primo ministro Rama il quale trova questa necessità come un fondamentale processo evolutivo del paese. Appare chiaro, ritornando oggi nel paese delle aquile, che il panorama è mutato profondamente e in tempi velocissimi mai registrati da nessun altro paese. Ed è proprio questo cambiamento radicale che dovrebbe invitare i giovani, che hanno poca memoria o semplicemente più indaffarati a cercare una loro identità nel mondo piuttosto che ricostruire l’identità a partire dalle proprie radici, a riflettere. È interessante osservare un paese che indossava un tempo colori grigi possa oggi aver aderito così rapidamente alla capitalizzazione. È come se ad un certo punto una intera generazione avesse chiuso gli occhi e invece di guardare indietro, per comprendere la radice delle proprie origini che dovrebbe caratterizzare il tratto identificativo di un popolo, guarda disperatamente avanti per non affondare. L’Albania ha una sua storia molto particolare e tanto antica ma sembra che quella generazione dei barconi del ’91 abbia disconnesso con il passato, come succede oggi con i cinesi nei confronti della loro storia, rinnegando a se stessi la rimessa in discussione sul piano sociale e morale del ruolo che quella vecchia classe intellettuale ebbe in quel tempo e del ruolo che avrebbe dovuto assumere nella conduzione del paese e dei propri figli. Ma quella classe politica se ne è lavata le mani e a differenza di Ponzio Pilato che lo fece dinanzi a tutti in questo caso diventa una rappresentazione simbolica per dipingere un’azione illegale di coloro che hanno abiurato nel nome del terrore il loro grido. Trovo che sia, oggi più che mai, necessario fare un passo indietro, voglio dire che sarebbe più convenevole sedersi per comprendere e tirare fuori quella radice chilometrica per capire cosa è andato storto e per donarsi la possibilità di ricongiungere l’identità storica all’identità sociale odierna. Possiamo concludere dicendo che l’Albania oggi si presenta come un paese che non ha ancora sviluppato la transazione dall’economia pianificata a quella del libero mercato. Lo Stato albanese non ha ancora provveduto a sviluppare delle politiche sociali che possano fronteggiare le realtà più vulnerabili e questo è dovuto alla carenza di strutture istituzionali che sanciscono il pieno sviluppo delle formule di mercato.