Trump

Il Governo degli Stati Uniti d’America ha abbandonato i siriani: il caso Ziadeh

Radwan Ziadeh è un dissidente siriano di 41 anni e vive con la sua famiglia in un sobborgo di Washington. Avversario politico del presidente Bashar al-Assad in Siria, Ziadeh è un emigrato politico che vive da dieci anni negli Stati Uniti dove ha ottenuto la borsa di studio presso la GeorgeTown e la Harvard University, e infine dall’Istituto degli Stati Uniti per la pace. Ma l’amministrazione Trump ha inciso sul suo percorso di vita e il signor Ziadeh, circa un mese fa, ha ricevuto in casa una lettera di dodici pagine che riportava la definitiva sospensione del suo asilo politico. Il caso del siriano Ziadeh merita la giusta attenzione perché sottolinea il netto divario che c’è tra la legge americana sull’immigrazione e la sua politica estera. Dopo l’11 settembre 2001 le disposizioni contro il terrorismo sono state rafforzate e negli ultimi tre anni tutti i gruppi di opposizione armati nel mondo sono stati vagliati dal governo statunitense come organizzazioni terroristiche. Chiunque appoggiasse queste “organizzazioni non classificate” , sia finanziariamente che diplomaticamente, veniva squalificato dalla possibilità di ricevere i permessi di soggiorno o di perdere, come nel caso di Ziadeh, l’asilo politico. Ziadeh è un uomo che è sempre stato in prima linea, facendosi il portavoce sulla situazione siriana, ha scritto libri e ha testimoniato al Palazzo del Congresso fino a qualche mese fa, prima dell’amministrazione Trump. La famiglia Ziadeh non riesce a dare una spiegazione logica a tale provvedimento nei loro confronti, i figli di Ziadeh sono nati negli Stati Uniti e ora tutti si trovano spaesati e non sanno più di ciò che sarà delle loro vite. La situazione di Ziadeh è compromessa e riorganizzare una nuova vita è un percorso arduo e spinoso visto le relazioni politiche internazionali, e dove l’opzione di rientrare in patria è inaccettabile considerando le condizioni di guerra in cui imperversa il suo Paese, e visto che su Ziadeh c’è un mandato di cattura in atto dal Daesh che lo ritiene un traditore e una spia degli americani e questo perché Ziadeh ha tenuto nel corso degli anni 2012 e 2013 delle conferenze per discutere e trovare una possibile transazione democratica in Siria. Queste conferenze si sono tenute a Istanbul, in Turchia, dove un gruppo si è autoproclamato comandanti della confederazione chiamandosi Libero Esercito Siriano , mentre l’altro gruppo si sono definiti come i leader politici affiliati alla Fratellanza Mussulmana Siriana. Il governo americano conosceva molto bene entrambi i gruppi e il Dipartimento di Stato americano si è prodigato sostenendoli nella loro lotta, fornendo loro stipendi e armi, in particolare ai membri della Fratellanza mussulmana, i quali hanno giocato un ruolo fondamentale nel Consiglio Nazionale Siriano. L’ex ambasciatore americano in Siria, Robert S. Ford, in risposta a ciò che sta accadendo alla famiglia Ziadeh ha sottolineato in una mail inviata al governo americano che nessuno dei membri dei due gruppi a cui il signor Ziadeh aveva invitato a collaborare potevano essere considerati organizzazioni terroristiche e che la Fratellanza Mussulmana non ha alcuna “connessione amministrativa” con gli altri gruppi dei Fratelli Mussulmani Siriani sparsi nel mondo e soprattutto che Hillary Clinton, John Kerry e l’ex ambasciatore Ford si sono incontrati con la delegazione dell’opposizione che includeva anche i membri della Fratellanza mussulmana siriana. Nella lettera inviata al signor Ziadeh il governo americano ha giustificato la scelta del mancato rinnovo dell’asilo politico scrivendo che il fatto che entrambi i gruppi, sia il Libero Esercito Siriano che la Fratellanza Mussulmana Siriana hanno utilizzato le armi con l’intento di mettere in pericolo la sicurezza dei funzionari del governo siriano, per cui entrambi i gruppi sono stati inclusi tra le organizzazioni terroristiche. Il signor Ziadeh, tramite il suo avvocato Steven H. Schulman, si appella al governo americano e in merito alla decisione presa dall’amministrazione Trump sostiene che farsi portavoce ed invitare i membri dei gruppi di opposizione a riunirsi in una conferenza per discutere del futuro politico della Siria non può essere considerato allo stesso modo di aiutarli materialmente promuovendo le loro agende e che “fornire sostegno materiale ai gruppi” può significare qualsiasi cosa. Il presidente del Refugees International ed ex funzionario dell’amministrazione Obama, Eric Schwartz, definisce la disposizione della legge sull’immigrazione come “un prodotto del periodo post 11 settembre”, periodo in cui nasceva il reparto che si occupava delle organizzazioni terroristiche non designate, pertanto l’agenzia dell’immigrazione ha dichiarato che il signor Ziadeh è un perseguitato politico per cui in  linea con la richiesta dell’asilo politico, mentre secondo il governo americano il sostegno di Ziadeh al Libero Esercito Siriano e alla Fratellanza Mussulmana Siriana è motivo per negare la sua richiesta. “Il governo degli Stati Uniti d’America ha abbandonato i siriani” dice un sterminato signor Ziadeh, il quale sostiene che la scelta del governo americano è un messaggio più grande del rifiuto.

Piccolo Cafè

Michele Casadei Massari: il sogno americano del “Piccolo Café”

Michele Casadei Massari, classe 1975, nasce in Romagna, a Riccione per la precisione. Ben presto si accorge della sua passione per la cucina, passione trasmessagli dal nonno Gigi, figura determinante nel percorso di vita di Michele, il quale ha vissuto a Bali, in Asia, prima di approdare nella Grande Mela soltanto otto anni fa. L’ascesa di Michele a New York è avvenuto in un breve lasso di tempo grazie alle sue capacità e al suo ottimismo nell’affrontare le nuove sfide che la vita gli presenta davanti. Michele è Founder ed Executive Chef del Piccolo Café che conta ben quattro locali a Manhattan oltre a vantare della collaborazione con i più prestigiosi clienti nella moda oltreoceano. L’American Dream di Michele Casadei Massari aggiunge nei prossimi mesi un altro e importante traguardo con l’apertura di un nuovo locale, La Lucciola. Michele, a che età è nata la tua passione per la cucina e perché? Lo ricordo lucidamente, avevo 6 anni e ammiravo il nonno Gigi, il mio cuoco preferito di sempre. Il vecchio viaggiava tutto il mondo con l’atlante e amava spendere i meritati giorni di inizio pensione nella sua cucina economica a legna, a Monterado nelle Marche.  Lo guardavo mentre se ne stava seduto sulla consumata e pizzichina impagliatura della sedia a corredo del solido legnoso tavolo bianco. Lo studiavo nei suoi riti; pulire i tordi, bollire le bietole, pulire le patate, lavare la trippa, fare la cresca, spurgare le lumache e bollire le vongole e infine, filtrare con cura la sabbia. In quel mio piccolo tempo, i giorni scorrevano spensierati, mentre l’amore di mio nonno mi avvolgeva come una coperta, la sua onestà, il suo essere ligio e dedito al lavoro mi rassicuravano facendo crescere in me la consapevolezza dell’uomo che sarei divenuto. Per il nonno la cucina era sinonimo di famiglia, eravamo noi, ero io. Il nonno aveva delle mani bellissime, le più pulite ed eleganti mani da uomo che io avessi mai visto, e con quelle mani tagliava e sminuzzava con rigorosa attenzione tutto, utilizzando coltelli affilatissimi e di epoche eterne, tutti del passato. Nonno Gigi credeva solo nella cottura a legna, diffidava del gas. Nonno Gigi era pulitissimo, era paziente. Quando avevo nove anni cucinai per la prima volta per mia madre e il suo compagno e quella per me fu l’inizio della mia carriera. Devo tutto al nonno, l’uomo con il quale trascorsi i miei giorni migliori, la mia infanzia.   Che percorso di studi hai compiuto?  Mi sono iscritto al corso di Farmacia e l’ho frequentato per un breve periodo, poi sono passato a studiare Medicina, una mia grande passione, ancora oggi compro e leggo libri di genetica. Ecco, il mio percorso di studi universitari è stato scoordinato perché ero distratto, avevo la testa altrove. Sono sempre stato una persona indipendente per cui ho scelto di tuffarmi subito nel mondo del lavoro, avrei voluto portare a termine gli studi in Medicina se non altro per rendere felice il babbo, al quale chiedo venia in questa intervista. Tuttavia devo dire che la passione per le materie scientifiche, come la Fisica o Chimica, spesso incrocia e si coniuga con il mio mestiere di Chef. C’è stato un periodo in cui mi dedicavo a studiare l’uso del sale nella sua composizione ma soprattutto di comprendere cosa fossero e come andassero trattati i grassi, le temperature e le bizzarre forme ed evoluzioni delle proteine, poi gli zuccheri e la loro irreversibilità alle alte temperature. Insomma, io non smetto mai di studiare perché trovo irresistibile il progresso della nostra materia. La cucina e le sue tecniche, gli utensili, l’equipments e le strategie, sono per me la parte affascinante e meravigliosa del mio piccolo mondo, del mio Piccolo Café.  Quando e qual’è stato il motivo per cui hai deciso di lasciare l’Italia?  Non l’ho mai deciso e né mi sono incoraggiato, l’ho semplicemente colto e poi perseguito con tenacia e ardore, ho afferrato l’opportunità e mi sono lanciato. Sono uno testardo e paziente con l’arte del mettermi in gioco, ora lo rifaccio con la mia nuova sfida che è il ristorante La Lucciola. Perché hai scelto New York? Perché volevo un mercato, una piazza, un teatro eclettico, multirazziale e poliedrico, perché pensavo e lo penso tutt’oggi che il viaggio, l’avventura che avrebbe costituito sarebbe stato il vero premio e traguardo di questa sfida, e che sarebbe stato comunque un forte bagaglio di esperienza e sopravvivenza. Raccontami la storia del “Piccolo Café”, com’è nato?  È nato sullo sdraio di una estate calda in Sardegna. Pensavo e ripensavo crogiolandomi su queste domande: cosa mi piace, cosa so fare e cosa posso fare ovunque io sia? La risposta mi venne naturale: me stesso sempre. Ospitare, cucinare, accudire, ascoltare, incontrare, raccontare, vendere, leggere, e quindi condividere. Optai per un atto eccezionale in accordo con la domanda e la risposta, ossia di fare la prima caffetteria tradizionale italiana ever a Union Square durante il mercatino di Natale in uno spazio di un metro quadrato. Mi parse l’idea vincente, l’ho voluto tanto per cui detto e fatto! Mi sono avvalso del visto E2.  Com’è stato il primo periodo? Quali le difficoltà? È stato molto stimolante, difficilissimo ma allo stesso tempo esaltante. Non capivo nulla, ero curiosissimo e mi mettevo sempre nella condizione di ascoltare ed approfondire. La Grande Mela dove tutto era possibile, il più grande “Blue Ocean” di sempre. Non conoscevo nulla di questo mercato e quindi ero estremamente sereno, eccitato e ottimista, quest’ultimo è un mio tratto caratteriale perché credo in tutti e in tutto quello che faccio, sempre. Le difficoltà oggettive furono metriche, ambientamento e orientamento fisico e culturale, capirsi anzi intendersi in tutto al meglio, inserirsi e sincronizzarsi con i luoghi e le persone, ottenere e avanzare, fare i passi giusti. Dal punto di vista lavorativo, pensi che i rapporti siano più facilitati rispetto all’Italia?  Non saprei, perché sono sempre io, sarei sempre io, approccerei comunque il lavoro con lo stesso stimolo e idealismo. Mi sveglio da sempre pieno di voglia di fare e mi pare ci siano sempre opportunità, credo nelle idee e nella loro velocissima attuazione, amo l’Italia e ne sono fierissimo, quindi la vedo sempre come una opportunità e un mercato in continua evoluzione. In questo preciso momento non credo, forse c’è più velocità e pragmatismo, ma vivo a NY , l’America è grande e tanto diversa da NY e non solo NY, credo che qui ci sia meno pregiudizio sull’impresa e che ci sia una atteggiamento di rewarding culturale sincero, mirato al risultato e al perseguimento che stimola e spinge a fare e rifare sempre di più, sbagliare e ricominciare. Spesso la tua domanda la pongo ai giovani italiani che spesso incontro in questa città e le risposte sono molto cambiate oggi rispetto agli ultimi anni. Il governo Obama ha rappresentato il cambiamento, l’entusiasmo, il cambio generazionale e finalmente la risposta all’America “bianca” che oggi torna ad inquietare. È più facile aprire un’attività in U.S rispetto all’Italia?   Potrei non essere aggiornatissimo ma direi che in linea di massima è più facile qui dove tutto è fattibile on line e con l’assistenza gratuita. Come si vive nell’America Trumpiana?  Sto rinnovando in questi giorni il mio visto, quindi mi è facile risponderti: con attesa e speranza e con cauta osservazione. Cosa ne pensi delle politiche dell’immigrazione attuate dal nuovo governo di Donald Trump? Non le ho ancora capite, ma sono certo che questo Paese, ma soprattutto questa città è fatta di diversity, di mix, di tanti desideri, di tante religioni, di talenti e propulsione e qui, a New York, tutto si unisce e si armonizza in questo melting pot razziale e culturale con osmosi naturale. Ad oggi, consiglieresti ad un giovane di trasferirsi per cercare lavoro in America? Consiglierei per ora di attendere e capire al meglio e il prima possibile le direttive per i visto e le concrete opportunità e limitazioni, quindi prima lo studio e l’idea, poi sì, attuandosi velocemente e con ambizione. Pensi mai di rientrare in Italia? Per ora no, e non permanentemente, solo perché qui non ho ancora finito, mi sento di aver appena iniziato. Come ti accennavo prima, sto aprendo un nuovo locale, il quinto, che si chiama La Lucciola. E poi, sai, rientro spesso in Italia, anche ora grazie a te attraverso questa intervista. Ascolto moltissima musica italiana, leggo i giornali e grazie alla nostre magnifiche radio italiane e le loro app (adoro i podcasts) seguo con interesse le vicende politiche del nostro Paese.   Bellissima, colta, intellettuale, sensata, coraggiosa, educata, audace, dialettica e autentica, si capisce che la amo tanto? Per i giovani che ti stanno leggendo in questa intervista, nella tua attività ci sono posizioni aperte?  Visti e nuove o modificate regole di immigrazione permettendo, assolutamente sì, soprattutto ora che stiamo aprendo il nuovo locale.  Dove mandare le candidature?  recruitment@piccolocafe.us Grazie Michele per avermi rilasciato questa intervista e in bocca al lupo nella tua avventura Made in USA.