Hollyweed

America, questa sconosciuta

“Hollywood”

Tratto dalla serie di vignette “L’America, questa sconosciuta” dello scrittore italo-americano Guido Mina Di Sospiro, noto autore di romanzi come “La metafisica del ping-pong” e dell’ultimo “Sottovento e sopravvento” in uscita in Italia il 25 maggio con l’editore Ponte alle Grazie.

Il produttore cinematografico, chiamiamolo Jack, ci accoglie sulla soglia della sua villa a Beverly Hills. Con lui un’amica, bionda e cordiale. Gli è piaciuto un mio romanzo e vuole conoscermi. Ci aspetta un Dom Pérignon ghiacciato e un’intera forma di Parmigiano-Reggiano, divisa in due. Jack è pimpante; versa champagne, taglia formaggio, racconta aneddoti, ride, scherza. Propone un giro della villa, grande e con una vista strepitosa, mia moglie con la sua amica, io con lui. Nel suo studio, fra posters di films, copioni e computers, mi fa vedere delle foto. “La mia ragazza,” spiega, una modella emergente, aspirante attrice. “La amo da morire,” aggiunge; “non è bellissima?”

Ne convengo.

“Ha il più bel derrière al mondo, non trovi?”

“Non saprei, non li ho visti tutti.”

Insiste, “È il più bel derrière del mondo, non c’è dubbio,” e mi fissa con occhi lucidi e sdrucciolevoli. Glielo concedo, come posso ripetere che non lo so?

Poco più tardi, a cena in un ristorante à la page, sembra un Jack-in-the-box: continua a zompare in piedi per poi risedersi come se fosse azionato da una molla. Il motivo? Le tante stelle e stelline che saluta in modo calorosissimo. Senza volerlo, penso, quest’uomo è dotato d’una notevole vis comica. Ma ci sta riservando un trattamento di favore, e prima o poi parlerà anche del mio romanzo.

Il trattamento di favore non finisce con la cena, prolungata per incontrare il maggior numero di celebrità possibile. “Vi porto nel miglior club di Hollywood,” fra Hollywood Boulevard e Vine Street, come scopriamo, angolo famoso, o famigerato.

Ci aspetta una lunga coda composta principalmente da donne che sembrano uscite da Playboy. Ma, con nostro sollievo, la saltiamo: i colossali buttafuori gli fanno i salamelecchi. Interessante come in America le code siano osservate con devozione religiosa, ma come, al contempo, coloro in coda accettino di buon grado che un VIP la salti. È un effetto collaterale della venerazione delle celebrità: gli italiani provano invidia, dal latino “in-video”, che è poi il malocchio; gli americani, l’esatto opposto: ammirazione per la gente di successo, che vedono di buon’occhio, il che, incidentalmente, elimina sul nascere ogni conflitto di classe.

Il club è cavernoso, con soffitti molto alti. A metà strada tra pavimento e soffitto, una rete sulla quale strisciano in perpetuo delle donne seminude. La musica tecno, piuttosto forte, scoraggia la conversazione. Il locale è pieno di gente pittoresca e le donne, come abbigliamento, non si discostano di molto da quelle sopra le nostre teste.

Ci sediamo all’unico tavolo riservato. Jack ordina vodka e caviale (dopo cena?). Il caviale, mi fa notare con orgoglio parlandomi in un orecchio, “in America non si può più importare.”

“E lei come fa ad averlo?” gli domando intuendo che s’aspetta proprio tale domanda.

  “Ho certi contatti… ” I suoi occhi mi sembrano ancora più lucidi e sdrucciolevoli.

Si alza e mi fa cenno di seguirlo. Dopo quattro passi si ferma, si gira e mi domanda: “Ti piacciono le nere?” Stavolta mi prende alla sprovvista. Sono palesemente sposato, con mia moglie a pochi metri di distanza. Ma non voglio passare per il guastafeste; rispondo: “Nere, bianche, gialle, pellirosse—le donne mi piacciono tutte.”

Dev’essere la risposta giusta: mi guarda con occhi più sdrucciolevoli che mai e sorride. “Seguimi.”

Poco dopo ci troviamo in una “saletta privata,” mi spiega con ammiccamenti pirateschi. Ci raggiunge un uomo. Si salutano e parlottano fra loro. “Vediamo dove si va a parare,” penso.

“Senti,” mi dice Jack, “qui puoi chiedere qualunque cosa.”

“Che cosa intendi dire?”

“Qualunque cosa, anche la cosa più proibita, e la ottieni. Poi noi ti lasciamo in pace. Che cosa ne dici? Chiedi e ti sarà dato!”

L’altro personaggio mi fissa a sua volta. Ci penso un po’ su e poi dico, “È da quando abbiamo finito di cenare che ne ho voglia…”

Con lo sguardo m’incoraggiano a continuare.

“Visto che me lo domandate, una richiesta l’avrei.”

“Dicci.”

“Vorrei fumarmi un bel sigaro.”

Si guardano, spiazzati. Jack infine dice: “Non so se ci siamo capiti: ti possiamo procurare quello che vuoi, e te lo puoi godere qui, indisturbato…”

“Grazie; mi basterebbe un sigaro, ce l’ho in tasca.”

L’altro personaggio interviene, con voce stentorea:  “Spiacente, ma è vietato fumare, vedi?” e indica un cartello.

“Sì,” rispondo, “l’ho visto, ma pensavo che una fumatina—”

“Spiacente,” dice il personaggio, “ma è vietato fumare, ed è la legge. È chiaro?”

Il “Vietato Fumare” in America è legge, religione, dogma. Nella saletta privata sono offerte sostanze di tutti i tipi; donne (o uomini) di tutte le razze, e chissà cos’altro. Ma fumarsi un sigaro in santa pace, è chiedere troppo.

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