Java e il pianoforte, ovvero qual è il posto delle donne

Se immaginassimo l’era digitale in cui viviamo come l’affresco allegorico di un progresso socio-economico in cui le materie STEM sono al centro della scena, le figure femminili rappresenterebbero materie che di fatto restano appannaggio degli uomini. Visto però che non viviamo più in tempi in cui si usano le figure femminili per dipingere grandi affreschi allegorici dell’umana sapienza, forse sarebbe il caso di impegnare le nostre energie nella diffusione di una maggiore consapevolezza rispetto alla posta in gioco quando si tratta di scegliere quale percorso di studio intraprendere.

Ma per sostanziare con dei numeri la metafora, basta pensare che, nel 2021, circa 4,3 milioni di studenti (maschile sovraesteso) si sono laureati nell’istruzione terziaria dell’UE. Di questi, in campi come l’ingegneria, la manifattura e le costruzioni il 73,1% erano uomini. Al contrario, settori come salute e benessere hanno visto una predominanza femminile, con il 72,1% di ragazze laureate.

Curioso insomma come, nell’epoca più liquida della storia, si scelga ancora il proprio percorso di studio secondo quello che ci si aspetta dalla propria identità di genere, ovvero cura e accoglienza per le donne, mentre si lascia all’uomo il ruolo di faber, di colui cioè che costruisce, che inventa, che progetta e sviluppa il mondo. Se questo è vero, ed è vero, credo sia arrivato il momento di concentrare il discorso femminista (ammesso che ancora ne esista uno davvero) su questo, perché, come è ovvio, tutto il resto verrà da sé.

In altre parole, si dovrebbe spiegare alle ragazze che esiste una stanza dei bottoni, o di tasti se preferite, dove dovrebbero riuscire a sedersi, magari al posto di un uomo, se vogliono davvero determinare il futuro. Del resto, nel mondo digitale delle non-cose (per dirla con Byung-Chul Han), la tecnica è arte, sia in senso etimologico (il latino come noto qui traduce il greco: ciò che si fa con le mani) che in quel senso metaforico per cui la tecnica è ormai strumento per veicolare anche l’immaterialità di quel mondo emozionale che si vorrebbe (se sia una stereotipo o meno non sta a me deciderlo) proprio della sensibilità femminile. Trovo insomma bellissimo studiare il pianoforte, e rimpiango davvero tanto di non saperlo suonare, ma penso che fra le virtù utili a una giovinetta, ancorché di buona famiglia, fatto salvo il pianoforte, sarebbe magari il caso di imparare a programmare in Java.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Le favole a cui non credo
Italia Albania: Let’s get physical
Lo ius scholae oltre gli interessi di bottega
Basterebbe cambiare prospettiva sull’Europa