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Vins Gallico - Fabio Lucaferri, La barriera, Fandango, Roma, 2017

“La barriera” il romanzo sull’inconsistenza della nostra mente

di Ivano Mugnaini Il primo e decisivo passo compiuto da Vins Gallico e Fabio Lucaferri è l’umanizzazione: far capire che in questo libro non si parla di numeri, di statistiche, di esempi astratti e proiezioni su grafici teorici. Non si parla di neppure di personaggi letterari. Si parla di uomini, esseri umani. In quest’ottica i dettagli, le minuzie, le caratteristiche in apparenza inconsistenti, le fragilità, i vizi, le manie, gli oroscopi, gli ascendenti, il gioco del calcio, i luoghi e le cose, contribuiscono a definire una persona, a fare da specchio, facendoci identificare per analogia o per contrasto, dando forma a un riflesso in cui possiamo e dobbiamo guardarci. Da queste infinite tessere differenti si delineano i contorni di un mosaico: il mondo così com’è. Sarebbe bello poter dire che è così solamente nella finzione, ma è proprio questo il nodo, la sfida e il senso di questa narrazione. C’è una data precisa, il 2029. Indicata con chiarezza, su un’agenda ipotetica ma ineludibile. Una data che appare lontana, eppure conosciamo i ritmi e le cadenze del tempo: quel traguardo è a un passo. C’è la descrizione di un pianeta che è una polveriera, e un solo luogo ancora conserva una parvenza di ordine e vivibilità: il più ricco potente d’Europa, la Germania. Si salva dal caos imperante, ma a quale prezzo? Cosa si si è costretti a pagare in termini di libertà e dignità umana per avere protezione? Lo sfondo del romanzo è quello descritto in questo breve sunto, arricchito da intrecci ulteriori di vite e di destini e dal vibrare di trame sotterranee, intrighi, astuzie e controastuzie, corruzione, scontri, fughe, ostacoli e macchinazioni di ogni genere. Mentre ci si muove rapidissimamente da un episodio all’altro, si assimila gradualmente, potremmo dire nel sudore della tensione e della rincorsa, il messaggio sottobraccio, la verità nascosta al di la della barriera, anche narrativa: il futuro apocalittico descritto nel romanzo in gran parte lo stiamo già vivendo. Lo intravvediamo, ci viene tatuato addosso una goccia alla volta, ogni volta che in televisione all’ora di cena assistiamo a quelle trasmissioni inesorabilmente mandate in onda ogni singolo giorno, ferragosto compreso. Quelle in cui in ci dicono, scrivendolo a caratteri cubitali sullo schermo del piccolo-grande-fratello, che siamo minacciati, che verremo schiacciati e che ci ammazzeranno tutti se le porte, tutte quante, non le chiudiamo. Se non ci chiudiamo. Per rendere questo senso di oppressione il romanzo adotta un ritmo che non lascia respiro: è la versione narrativa di un film d’avventura, con attraversamenti di terre desolate, città e confini, nuotate da campione olimpionico, corse di velocità e di resistenza, centometristi e mezzofondisti. Ma il vero protagonista, muto ed eloquentissimo, è lo sfondo: il mondo, il solo luogo che abbiamo, il giardino recintato a mo’ di gabbia. Il linguaggio è rapido, frenetico ma preciso. Nessuna frase è buttata là solo per fare conversazione, nessun dettaglio è meramente descrittivo. Tutto è finalizzato a fornirci i dati essenziali di un manuale di sopravvivenza, un docufilm girato a ritmi serrati in cui si mostrano mosse e contromosse, lo scontro tra le regole annichilenti del potere e la volontà di restare vivi. I diritti naturali nello scenario descritto non sono più garantiti, devono essere riconquistati in una corsa da maratoneta e il premio finale, i diamanti da salvare, sono la dignità e la libertà. Gli aguzzini qui non sono meno appariscenti di quelli descritti nel film di John Schlesinger con Dustin Hoffman e Laurence Olivier. Sono burocrati in apparenza scialbi, e questo li rende perfino più temibili. In questo romanzo si arriva a far sì che siano le vittime a dover anelare di essere marchiati. Il tatuaggio l’identity matrix, è la meta per cui si è disposti a fare di tutto. Ci si getta da soli nella gabbia camuffata da luogo stabile e sicuro. Si procede nel libro, guardandosi anche alle spalle: la Germania, il Muro, Schindler’s List, Le vite degli altri e mille istantanee immagazzinate nella memoria riprendono vita e si intrecciano ad un futuro che è ipotesi più che plausibile e a un presente che è già dato di fatto vissuto. In un circolo che avvolge e soffoca: con la burocrazia che uccide la dignità senza neppure sporcarsi le mani. I capitoli del libro sono nomi di persona, luoghi e date. Quasi a confermare che ciò che ancora conta è l’equazione spazio-tempo, la possibilità di continuare a conservare la nostra identità a dispetto del mutare delle epoche e dei luoghi. O, meglio, saperla conservare lottando giorno dopo giorno per l’evoluzione, la sopravvivenza della specie autentica, quella specie umana che è costretta a difendere il proprio diritto alla diversità, al pensiero autonomo, alle scelte fondamentali, non ultime la sete di giustizia e di amore. Moltissimi sono i riferimenti a situazioni che conosciamo bene e con cui interagiamo quotidianamente. Nel 2029 ci sarà ancora Facebook e ci saranno tatuaggi, ma diventeranno macabre immagini di una gigantesca schedatura collettiva. Ci sarà ancora il sesso. Ma quello descritto nel libro è rapido e quasi incolore. La passione e la gioia sono al di là della barriera. Una delle sensazioni che le pagine trasmettono è che si potrà tornare ad assaporare tutto davvero fino in fondo solo quando la corsa per la sopravvivenza potrà essere interrotta. Coerentemente, nel libro c’è poco spazio per le divagazioni “liriche” e perfino per le pause descrittive. La solo poesia possibile nel contesto raffigurato è quella dei gesti, degli sguardi rapidi d”intesa, come quelli dei naufraghi, dei fuggiaschi. Come quelli delle spie, gli infiltrati in un mondo nemico. Le occhiaie rapide di chi si riconosce affine ma non può fermarsi, per non destare attenzione. Berlino è la scenografia ideale per questa narrazione di impronta cinematografica, rapida, intensa. La Berlino di questo romanzo è una città senza cielo, riflessa nei colori scuri di un passato di ferro e di sangue, ma anche nei vetri lucidati a specchio dei palazzi altissimi e dell’arte solenne e geometrica che atterrisce e attrae, inglobando corpi e menti nelle sue strade e nelle immense periferie livide. La bellezza è cupa. Non è morta ma deve essere risvegliata. Nel momento in cui torneremo ad essere armonici, aperti e davvero liberi, ritroveremo anche le luci, i riflessi fascinosi del sole del nord. Con abilità e in modo quasi subliminale vengono messi in atto parallelismi fondamentali. L’anno descritto si colloca a distanza di un secolo esatto da quello della grande crisi finanziaria, dal crollo di Wall Street e dell’economia globale. Il futuro è adesso e il passato è uno spettro che ancora si aggira nelle case, negli uffici, nelle officine. La Germania nel 2029 ha lineamenti in comune con quella nazista, ma anche con parenti insospettabili, la Calabria del secolo scorso e con lei il Meridione attuale e tutte le mafie di ogni genere e tipo, ad ogni latitudine. Leggendo questo libro si respira a fondo, si è coinvolti anche noi in una corsa vitale, nel senso letterale del termine. La posta in palio è la più preziosa, il nostro diritto a restare umani, con tutto il bene e il male che ciò importa, con il libero arbitrio, la capacità di riconoscerci affini a chi è diverso da noi. La sfida è ardua, lo scopriamo pagina dopo pagina. L’unico spiraglio è quello offerto dal riferimento all’ideogramma orientale che esprime il concetto di “crisi” facendo riferimento simultaneamente all’idea di pericolo e a quella di opportunità. Ciò che viene descritto e collocato in un futuro prossimo è profezia che già sconfina nella realtà. La vicenda narrata ci prepara, ci invita a mantenere tonici i muscoli delle gambe e del cuore fin d’ora, anzi, proprio ora, nel presente su cui possiamo agire, mutando noi stessi, per poter guardare negli occhi il nostro volto in un volto altro, arrivato da qualche luogo del pianeta di fronte a una Barriera che esiste, ed esisterà, solo se avrà consistenza nella nostra mente.

Marika Marangella

Marika Marangella: storia di una instagramer di successo

Giovane, brillante, laureata in Scienze della Comunicazione a Bari, Marika Marangella è una dei volti più belli ed interessanti dell’Italia che vuole cambiare, nonché una delle star più promettenti di uno dei social network più in voga del momento: Instagram. Marika, raccontaci un po di te, partendo dalle tue origini. Che dirti, sono nata e cresciuta a Taranto, la città dei due mari, 23 anni fa. Quale è stato il tuo percorso di studio? Tra i tasselli fondamentali del mio percorso di studi, non posso non citare quella che per me è stata l’esperienza formativa più importante, cioè l’aver preso parte al progetto Erasmus. Ho studiato per 6 mesi presso l’Université Paris Sorbonne vivendo in quella che ho sempre visto come la città dei miei sogni, Parigi. Tornata dall’Erasmus mi sono laureata in Scienze della Comunicazione, meno di un anno fa, presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” con una tesi in Culture Letterarie e Visuali Anglo-Americane dal titolo: “Appunti di storie in(quadrate): dalla Street Photography alla Mobile Photography” e, attualmente, frequento un Master Executive in Digital Marketing for Tourism and Events Management presso la Bologna Business School. Quando è stata la prima volta che ti sei iscritta ad un social e come hai vissuto l’esperienza online? La mia prima iscrizione ad un social è avvenuta nel 2008, creando il mio attuale profilo Facebook. Inizialmente ho vissuto l’esperienza come un “rimanere in contatto con”, quindi ho cercato di mantenere i contatti piuttosto che crearne dei nuovi, per la creazione di nuovi ho sempre preferito l’offline.   Sei una delle Instagramers più seguite nel panorama italiano, quando è nata questa tua passione? Nel Dicembre 2013 ho creato il mio profilo Instagram, ma ho iniziato a farne un uso assiduo e ragionato da Luglio 2014, che lo indico come il mio anno 0. L’iscrizione ad Instagram è avvenuta quasi per sbaglio, complice un’amica ed un contest fotografico su Facebook. Passati i primi mesi di “rodaggio” ho capito le potenzialità ed ho iniziato a navigare nella sezione esplora del social, che mi ha permesso di scoprire gran parte dei miei attuali “followers”. Ho iniziato a frequentare i primi Instameet pugliesi e parigini, ho vinto qualche contest locale sia in Puglia che a Parigi e poi, a giugno 2015, la grande sorpresa… Sono stata inserita da Instagram nella lista dei “Suggeriti” cioè tra gli utenti più ispiranti, crescendo in maniera esponenziale in un paio di settimane. Finito l’Erasmus, sono tornata in Italia, e sono entrata a far parte di Instagramers Italia, diventando Local Manager della Community degli @Igers_Taranto. Nel frattempo, ho iniziato a prendere parte ad alcuni Instagram Tour e a collaborare con le prime aziende come Influencer e/o Ambassador. Come vivi il rapporto con i tuoi followers? Cerco di interagire con gran parte di loro. Sicuramente, come nella vita offline, con quelli con cui c’è più affinità si è istaurata una vera amicizia e si cerca di vedersi il più possibile, con altri complici le distanze ci si tiene in contatto quotidianamente e digitalmente sperando di incontrarsi, prima o poi. Quali sono le componenti per diventare una instagramer di successo? Sembrerà banale, ma “essere se stessi” lo indicherei come la chiave del successo e come elemento fondamentale per costruirsi un vero seguito. Senza dubbio, l’occhio fotografico aiuta nella realizzazione di un buon contenuto visual e nella crescita in termini di numeri, likes e followers, ma dietro il like e il follow c’è la persona. Quale è il tuo rapporto con la fotografia?  Per me la fotografia è la possibilità di raccontare qualcosa con un’immagine, dalla quotidianità ad un progetto visivo strutturato. La tua pagina pullula di foto meravigliose realizzate dalla tua sensibilità nell’osservare i luoghi, le persone, gli oggetti. Pensi che i social potranno in futuro diventare il miglior spazio dove sponsorizzare i territori e i vari brand? Assolutamente sì, soprattutto nel caso delle destinazioni turistiche. Un buon uso dei social è importante per mantenere ed attrarre nuovi e vecchi clienti, ma anche per la diffusione dei valori del brand o della destinazione. Puntare sul personal branding può rivelarsi redditizio nel tempo? Nel tuo caso lo è diventato? Sì, se ben fatto. Nel mio caso non lo considero redditizio, ma sicuramente mi ha permesso di capire meglio i meccanismi legati al Sé in era digitale ed in ottica business. Come vedi i social network, nel tuo caso Instagram, in futuro? Instagram sta cambiando molto velocemente ed è sempre più legato a Facebook anche in termini di funzionalità. In futuro vedo Instagram molto più incentrato sul contenuto video che su quello fotografico. Pensi mai di lasciare la tua Puglia, o l’Italia?  Ho lasciato la Puglia un paio di giorni fa, ma non a titolo definitivo. In futuro vorrei lasciare l’Italia e tornare in Francia, magari a Parigi. Secondo te, può un/una influencer contribuire su una tematica come l’immigrazione e darne una sua visione attraverso uno scatto? Direi: DEVE. Quando si ha la possibilità di interfacciarsi e di raggiungere un gran numero di utenti, prendere una posizione su tematiche difficili come quelle dell’immigrazione o comunque essere portatore sano di contenuti culturali usando lo strumento digitale ed in questo caso uno scatto, è un’opzione di crescita e confronto che l’influencer dà a se stesso. Personalmente sono molto legata alla tematica per motivi accademici. Ad esempio, ad ottobre 2016, ho avuto la possibilità di visitare la mostra World Press Photo a Bari, durante un evento igers ed in quell’occasione la visione delle foto vincitrici ha generato in me il bisogno di esprimere il mio pensiero visivamente, realizzando così una foto. Scatto che per l’impatto visivo generato, il giorno dopo l’evento, è stato citato da gran parte della stampa locale (La Repubblica Bari, ANSA Puglia, ecc…).   Quali sono i tuoi progetti? Quali i tuoi sogni? I miei progetti sono interamente legati al mio sogno di ritornare in Francia. Grazie Marika, che le stelle ti accompagnino nella Ville Lumiére.