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L'incontro tra Giorgia Meloni e Edi Rama in Albania

Italia Albania: Let’s get physical!

La politica è anche fisicità. E’ un’ovvietà per cui gli esempi si sprecano, ma giusto per farne un paio: la preoccupazione dei democratici in America oggi è che Biden non regga il confronto con Trump perché sugli schermi appare più vecchio e più debole del suo avversario. Oppure, per non dare l’idea sbagliata che si tratti solo di una questione di prestanza maschile, si pensi all’acconciatura impeccabile della Thatcher: non c’era dubbio che una con quei capelli avrebbe tenuto i conti pubblici in ordine. Così, sono trascorsi alcuni giorni da quando la Presidente del Consiglio Meloni si è recata in visita amichevole in Albania, invitata dal Premier Edi Rama. Un incontro informale appunto, come fra due amici qualsiasi. Così amici che il Presidente le ha ricordato del conto da pagare dei turisti italiani e lei, la grande Sorella d’Albania, è corsa ai ripari chiamando l’ambasciata italiana affinché saldasse il conto dei furbetti. E, ancora una volta, l’elemento della fisicità in quell’incontro, saltava agli occhi: il gigante e le bambina, per citare una vecchia canzone. Se ne è accorto anche Rama, che ha cercato di mitigare la disparità delle foto, in un’intervista a Telese: “Quando la Meloni parla sa essere un gigante”, aggiungendo poi che al giorno d’oggi destra e sinistra non sono più categorie con le quali si possa interpretare la realtà, motivo per cui è perfettamente plausibile un asse Italia Albania, nonostante Rama sia socialista e la Meloni un’ex missina. Il guadagno derivante dall’incontro è stato sicuramente reciproco: la Meloni ha ottenuto il plauso pubblico di un leader socialista, la qual cosa, nella narrazione rivolta agli italiani, sta a significare che tutto quel ceto medio che si sente a disagio per il post-fascismo della Premier farà meglio a mettersi l’animo in pace. Rama, da parte sua, sa che l’Italia è uno dei primi partner commerciali dell’Albania e, di certo, il primo paese europeo che sarebbe disposto a validare all’Albania il passaporto per entrare nell’Unione Europea. Questo legame trova proprio nell’informalità dell’incontro un motivo ulteriore di sottolineatura. Come a dire: non abbiamo bisogno di fare le cose con troppa ufficialità, in fondo siamo come quei parenti che ogni tanto passano a farsi una visita. Nel frattempo però Germania e Francia si allineano sul fronte migranti e rafforzano i loro rapporti istituzionali, posizionandosi nuovamente come paesi forti alla guida dell’Europa. La Meloni avrebbe forse potuto anticiparli e fare una mossa da maestra, come quando incontrò a Roma Macron. Oggi quella mossa le avrebbe garantito una certa compattezza di forma ma soprattutto l’avrebbe aiutata ad essere vista, da ovest, come una leader affidabile per il futuro. Così, al netto della felicità che provo (da italiana-albanese) nel vedere che le mie due patrie vanno d’amore e d’accordo, ho come il dubbio (da albanese-italiana) che non basterà, quando andremo a parlare in Europa delle questioni scottanti che sono sotto gli occhi di tutti, minacciare la troika con lo spauracchio del cugino di due metri, che, come dicevamo da bambini, “con un pugno ti manda in cielo”.

Lo ius scholae oltre gli interessi di bottega

Gentile Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, mi permetto di rivolgermi direttamente a lei, per scriverle di un tema che mi sta molto a cuore e che, soprattutto, sta a cuore a migliaia di famiglie che vivono in Italia e che contribuiscono con le loro tasse all’erario dello Stato: lo Ius Scholae. Sino ad oggi, nessuna forza politica ha affrontato questo tema con quella lungimiranza capace di anteporre l’interesse della Nazione alle contrapposizioni ideologiche. Le numerose famiglie che attendono questa legge per i loro figli nati in Italia, infatti, sono ancora abbandonate a sé stesse senza una risposta concreta da parte delle istituzioni. Le parlo, pur appartenendo allo schieramento avverso, perché a quelli che hanno la mia storia importa soprattutto conseguire un risultato che, in questo momento, è in Suo potere realizzare. Dopo anni di dibattiti, Onorevole Presidente, mi ritengo fra coloro che considerano i risultati concreti e autenticamente innovatori più importanti di quel narcisismo etico che contrabbanda l’irraggiungibilità degli obbiettivi con la comoda consolazione di sentirsi parte di una schiera di “presunti migliori”. Mi rivolgo a Lei, quindi, poiché, in questa impresa, migliori sono semplicemente coloro che la realizzeranno. Personalmente, e per quel che vale, voglio dirle che non mi importa affatto avanzare recriminazioni sul razzismo, del quale, sia chiaro, sono stata talvolta anche vittima, perché non sono le recriminazioni a definirmi come persona e, soprattutto, perché non sono certo quelle a dar forza a questo mio appello. A me importa invece, e tanto, che tutti i bambini che abbiano completato il primo ciclo di studi in Italia, e per i quali quindi l’italiano non solo è la prima lingua, ma, talvolta, anche l’unica che conoscono, siano a tutti gli effetti cittadini italiani. Mi importa che i bambini che pensano in italiano, che sognano in italiano (quando non addirittura in uno dei tanti meravigliosi dialetti che rendono il nostro patrimonio linguistico vivo e pulsante), siano riconosciuti dallo Stato per quello che di fatto sono già a tutti gli effetti: cittadini italiani. Come lei, nata italiana, e come me, ebrea nata albanese, figlia di due diaspore, e finalmente naturalizzata italiana per meriti. Lei, Onorevole Presidente, è perfettamente conscia dell’autunno demografico che segna il nostro Paese e per quanto il Suo governo cerchi di contrastarlo, ritengo sbagliato porre un’alternativa fra politiche di reale inclusione come lo ius scholae e le altrettanto necessarie strategie per incentivare la natalità. Una sinistra e una destra finalmente moderne, emancipate dalle tragedie del Novecento, devono saper leggere la realtà senza infingimenti: promuovere iniziative legislative per la natalità non è in contrapposizione con il riconoscimento da parte dello Stato di chi italiano lo è già di fatto. Il Ministro Sangiuliano ha evocato Dante quale stella polare a cui guardare per immaginare un futuro all’altezza di una nobile eredità secolare. Mi è impossibile allora non pensare alla sua bellissima definizione della nostra Penisola: il “bel paese là dove ‘l sì sona”. Faccio dunque appello a quel coraggio che certo non le è mancato per diventare la prima donna Presidente del Consiglio nella storia della Repubblica: non attardiamoci nel riconoscere la cittadinanza a quei bambini che, quando chiedi loro se han fame, se vogliono un gelato, se vogliono bene ai genitori, rispondono con un sonoro “sì”. E questo perché, per loro, “sì” si dice “sì”, ed è la cosa più semplice e naturale del mondo. Faccio dunque appello alla sua intelligenza, senza tirare in ballo il ricatto morale del cuore che è una moneta sempre fasulla quando parliamo fra donne. Alla sua forza di donna delle istituzioni, più che alla tenerezza di cui è capace come madre, per chiederle di avviare una riforma a difesa dei bambini che, ne sono certa, troverebbe nella maggioranza degli italiani un popolo pronto ad accoglierla, e in lei una leader capace di intestarsi una vittoria in quel campo ormai così poco praticato dalla politica che è il semplice buon senso. La ringrazio di cuore per l’attenzione, e viva l’Italia, la mia e la sua, che sono poi, grazie a Dio, la stessa, unica e indivisibile.