giovani

Il mondo del lavoro e i giovani

di Zeralda Daja La domanda, del tutto retorica, che mi pongo in questo articolo è: ma esiste ancora il famoso “posto fisso” dopo l’università o è solo un mito perpetuato dalle vecchie generazioni? Per i giovani di oggi non è semplice trovare lavoro: cv spediti ovunque, corsi di formazioni gratuiti ma che non vengono valorizzati in un colloquio, master costosi, magistrali impegnative e di lunga durata. Ai miei tempi, nella buona società, non si incontrava mai nessuno che lavorasse per vivere. Era considerato sconveniente. Oscar Wilde La società di oggi non ci aiuta. Mi ritrovo, nella vita di tutti i giorni, ad affrontare contesti in cui vita professionale, vita privata e vita universitaria non riescono a conciliarsi, anche se l’impegno dello studente-lavoratore c’è totale e costante. Perché, per entrare nel mondo del lavoro, oggi  una laurea non basta più. Il ritornello ottimistico ripetuto dai genitori (“Studia, finisci l’università che poi riuscirai a trovare il tuo mestiere”) si scontra con la dura realtà del mondo del lavoro per come l’ho conosciuto. Ho 24 anni, una laurea triennale in scienze umanistiche, una laurea magistrale in Pedagogia. Ho fatto lavoretti di ogni tipo: babysitter, cameriera, ripetizioni, addetta alle pulizie. Sono mamma di una bambina di 2 anni e mezzo e, quando invio un cv, la prima domanda che mi viene fatta è: “perché non ha esperienze lavorative fisse?”. Oppure: “Perché si è laureata con un anno di ritardo?”. Leggiamo annunci di lavoro dove vengono richieste figure Junior con un minimo di esperienza, oppure laureati con 2 anni di esperienze lavorative in azienda, e tutto questo senza contare il lato umano, personale, familiare di una persona. Nel frattempo, la società ci impone aspettative contraddittorie che non possiamo essere in grado di soddisfare: maternità non troppo prolungate, ma neanche troppo anticipate, sennò il mondo del lavoro non ci aspetta. Garanzie per l’acquisto di case agli under 35,  ma retribuzioni che non ci permettono di affrontare un mutuo. Per non parlare anche dei contratti di lavoro: contratti a chiamata sottopagati, contratti di apprendistato con 300-400 euro di retribuzione, contratti di tirocinio o stage dove lavori 8h come dipendente ma ti vengono retribuiti soltanto il rimborso delle spese di mensa e benzina. Le università ci impongono di svolgere tirocini gratuiti correlati alle tesi di laurea, senza contare che dietro quelle aule universitarie ci sono ragazzi che lavorano, che hanno creato famiglie, che magari hanno problemi di salute, o economici,  e che, in sostanza, non si possono permettere di lavorare “gratis”. L’università sono fondate sul presupposto che nelle loro sedi ci siano ragazzi che nella vita fanno solo gli studenti. La società invece pretende che a 25 anni dobbiamo già avere una carriera in ascesa e pensare a costruirci una famiglia. La verità è che ci troviamo di fronte a un paradosso sociale in cui di mezzo ci sono le nostre vite.

Christine Lagarde: la ripresa dell’Europa sarà limitata

Christine Lagarde, Presidente della Banca Centrale Europea, ha dichiarato che l’aumento dei risparmi delle famiglie frenerà la domanda dei consumatori e questo significa che l’economia europea si riprenderà molto lentamente. Lagarde, inoltre, si esprime anche in merito ai danni subiti dalle compagnie aeree, le quali sono state danneggiate da questa crisi mondiale in maniera permanente. I dati che la BCE ha diffuso oggi mostrano come i cittadini europei hanno risparmiato tra febbraio a maggio raggiungendo un picco storico ossia 7,3 miliardi di euro. I risparmi delle famiglie dell’eurozona sono aumentati del 136%. La BCE ha promosso un programma di acquisto di obbligazioni di emergenza passando da 600 miliardi a 1350 miliardi di euro in modo da garantire che i costi di finanziamento rimangano basse per le famiglie e per le aziende. Questa manovra permette che i prestiti crescano rapidamente. La Presidente della BCE si congratula inoltre con i Paesi europei per aver azionato politiche fiscali rapide e si è augurata che al vertice del 17 luglio si possa raggiungere un accordo sul proposto fondo di recupero da 750 miliardi di euro. Lagarde ha aggiunto che il livello del debito aumenterà sia per i Paesi che per le aziende per cui i prestiti dovranno essere effettuati con la formula del nuovo bond austriaco da 100 anni. La Presidente della BCE non ha mancato di estendere la sua vicinanza alla categoria più fragile, ossia i giovani e le donne, affermando che saranno i primi a beneficiare di un programma di aiuto rivolto a loro.

Piccolo Cafè

Michele Casadei Massari: il sogno americano del “Piccolo Café”

Michele Casadei Massari, classe 1975, nasce in Romagna, a Riccione per la precisione. Ben presto si accorge della sua passione per la cucina, passione trasmessagli dal nonno Gigi, figura determinante nel percorso di vita di Michele, il quale ha vissuto a Bali, in Asia, prima di approdare nella Grande Mela soltanto otto anni fa. L’ascesa di Michele a New York è avvenuto in un breve lasso di tempo grazie alle sue capacità e al suo ottimismo nell’affrontare le nuove sfide che la vita gli presenta davanti. Michele è Founder ed Executive Chef del Piccolo Café che conta ben quattro locali a Manhattan oltre a vantare della collaborazione con i più prestigiosi clienti nella moda oltreoceano. L’American Dream di Michele Casadei Massari aggiunge nei prossimi mesi un altro e importante traguardo con l’apertura di un nuovo locale, La Lucciola. Michele, a che età è nata la tua passione per la cucina e perché? Lo ricordo lucidamente, avevo 6 anni e ammiravo il nonno Gigi, il mio cuoco preferito di sempre. Il vecchio viaggiava tutto il mondo con l’atlante e amava spendere i meritati giorni di inizio pensione nella sua cucina economica a legna, a Monterado nelle Marche.  Lo guardavo mentre se ne stava seduto sulla consumata e pizzichina impagliatura della sedia a corredo del solido legnoso tavolo bianco. Lo studiavo nei suoi riti; pulire i tordi, bollire le bietole, pulire le patate, lavare la trippa, fare la cresca, spurgare le lumache e bollire le vongole e infine, filtrare con cura la sabbia. In quel mio piccolo tempo, i giorni scorrevano spensierati, mentre l’amore di mio nonno mi avvolgeva come una coperta, la sua onestà, il suo essere ligio e dedito al lavoro mi rassicuravano facendo crescere in me la consapevolezza dell’uomo che sarei divenuto. Per il nonno la cucina era sinonimo di famiglia, eravamo noi, ero io. Il nonno aveva delle mani bellissime, le più pulite ed eleganti mani da uomo che io avessi mai visto, e con quelle mani tagliava e sminuzzava con rigorosa attenzione tutto, utilizzando coltelli affilatissimi e di epoche eterne, tutti del passato. Nonno Gigi credeva solo nella cottura a legna, diffidava del gas. Nonno Gigi era pulitissimo, era paziente. Quando avevo nove anni cucinai per la prima volta per mia madre e il suo compagno e quella per me fu l’inizio della mia carriera. Devo tutto al nonno, l’uomo con il quale trascorsi i miei giorni migliori, la mia infanzia.   Che percorso di studi hai compiuto?  Mi sono iscritto al corso di Farmacia e l’ho frequentato per un breve periodo, poi sono passato a studiare Medicina, una mia grande passione, ancora oggi compro e leggo libri di genetica. Ecco, il mio percorso di studi universitari è stato scoordinato perché ero distratto, avevo la testa altrove. Sono sempre stato una persona indipendente per cui ho scelto di tuffarmi subito nel mondo del lavoro, avrei voluto portare a termine gli studi in Medicina se non altro per rendere felice il babbo, al quale chiedo venia in questa intervista. Tuttavia devo dire che la passione per le materie scientifiche, come la Fisica o Chimica, spesso incrocia e si coniuga con il mio mestiere di Chef. C’è stato un periodo in cui mi dedicavo a studiare l’uso del sale nella sua composizione ma soprattutto di comprendere cosa fossero e come andassero trattati i grassi, le temperature e le bizzarre forme ed evoluzioni delle proteine, poi gli zuccheri e la loro irreversibilità alle alte temperature. Insomma, io non smetto mai di studiare perché trovo irresistibile il progresso della nostra materia. La cucina e le sue tecniche, gli utensili, l’equipments e le strategie, sono per me la parte affascinante e meravigliosa del mio piccolo mondo, del mio Piccolo Café.  Quando e qual’è stato il motivo per cui hai deciso di lasciare l’Italia?  Non l’ho mai deciso e né mi sono incoraggiato, l’ho semplicemente colto e poi perseguito con tenacia e ardore, ho afferrato l’opportunità e mi sono lanciato. Sono uno testardo e paziente con l’arte del mettermi in gioco, ora lo rifaccio con la mia nuova sfida che è il ristorante La Lucciola. Perché hai scelto New York? Perché volevo un mercato, una piazza, un teatro eclettico, multirazziale e poliedrico, perché pensavo e lo penso tutt’oggi che il viaggio, l’avventura che avrebbe costituito sarebbe stato il vero premio e traguardo di questa sfida, e che sarebbe stato comunque un forte bagaglio di esperienza e sopravvivenza. Raccontami la storia del “Piccolo Café”, com’è nato?  È nato sullo sdraio di una estate calda in Sardegna. Pensavo e ripensavo crogiolandomi su queste domande: cosa mi piace, cosa so fare e cosa posso fare ovunque io sia? La risposta mi venne naturale: me stesso sempre. Ospitare, cucinare, accudire, ascoltare, incontrare, raccontare, vendere, leggere, e quindi condividere. Optai per un atto eccezionale in accordo con la domanda e la risposta, ossia di fare la prima caffetteria tradizionale italiana ever a Union Square durante il mercatino di Natale in uno spazio di un metro quadrato. Mi parse l’idea vincente, l’ho voluto tanto per cui detto e fatto! Mi sono avvalso del visto E2.  Com’è stato il primo periodo? Quali le difficoltà? È stato molto stimolante, difficilissimo ma allo stesso tempo esaltante. Non capivo nulla, ero curiosissimo e mi mettevo sempre nella condizione di ascoltare ed approfondire. La Grande Mela dove tutto era possibile, il più grande “Blue Ocean” di sempre. Non conoscevo nulla di questo mercato e quindi ero estremamente sereno, eccitato e ottimista, quest’ultimo è un mio tratto caratteriale perché credo in tutti e in tutto quello che faccio, sempre. Le difficoltà oggettive furono metriche, ambientamento e orientamento fisico e culturale, capirsi anzi intendersi in tutto al meglio, inserirsi e sincronizzarsi con i luoghi e le persone, ottenere e avanzare, fare i passi giusti. Dal punto di vista lavorativo, pensi che i rapporti siano più facilitati rispetto all’Italia?  Non saprei, perché sono sempre io, sarei sempre io, approccerei comunque il lavoro con lo stesso stimolo e idealismo. Mi sveglio da sempre pieno di voglia di fare e mi pare ci siano sempre opportunità, credo nelle idee e nella loro velocissima attuazione, amo l’Italia e ne sono fierissimo, quindi la vedo sempre come una opportunità e un mercato in continua evoluzione. In questo preciso momento non credo, forse c’è più velocità e pragmatismo, ma vivo a NY , l’America è grande e tanto diversa da NY e non solo NY, credo che qui ci sia meno pregiudizio sull’impresa e che ci sia una atteggiamento di rewarding culturale sincero, mirato al risultato e al perseguimento che stimola e spinge a fare e rifare sempre di più, sbagliare e ricominciare. Spesso la tua domanda la pongo ai giovani italiani che spesso incontro in questa città e le risposte sono molto cambiate oggi rispetto agli ultimi anni. Il governo Obama ha rappresentato il cambiamento, l’entusiasmo, il cambio generazionale e finalmente la risposta all’America “bianca” che oggi torna ad inquietare. È più facile aprire un’attività in U.S rispetto all’Italia?   Potrei non essere aggiornatissimo ma direi che in linea di massima è più facile qui dove tutto è fattibile on line e con l’assistenza gratuita. Come si vive nell’America Trumpiana?  Sto rinnovando in questi giorni il mio visto, quindi mi è facile risponderti: con attesa e speranza e con cauta osservazione. Cosa ne pensi delle politiche dell’immigrazione attuate dal nuovo governo di Donald Trump? Non le ho ancora capite, ma sono certo che questo Paese, ma soprattutto questa città è fatta di diversity, di mix, di tanti desideri, di tante religioni, di talenti e propulsione e qui, a New York, tutto si unisce e si armonizza in questo melting pot razziale e culturale con osmosi naturale. Ad oggi, consiglieresti ad un giovane di trasferirsi per cercare lavoro in America? Consiglierei per ora di attendere e capire al meglio e il prima possibile le direttive per i visto e le concrete opportunità e limitazioni, quindi prima lo studio e l’idea, poi sì, attuandosi velocemente e con ambizione. Pensi mai di rientrare in Italia? Per ora no, e non permanentemente, solo perché qui non ho ancora finito, mi sento di aver appena iniziato. Come ti accennavo prima, sto aprendo un nuovo locale, il quinto, che si chiama La Lucciola. E poi, sai, rientro spesso in Italia, anche ora grazie a te attraverso questa intervista. Ascolto moltissima musica italiana, leggo i giornali e grazie alla nostre magnifiche radio italiane e le loro app (adoro i podcasts) seguo con interesse le vicende politiche del nostro Paese.   Bellissima, colta, intellettuale, sensata, coraggiosa, educata, audace, dialettica e autentica, si capisce che la amo tanto? Per i giovani che ti stanno leggendo in questa intervista, nella tua attività ci sono posizioni aperte?  Visti e nuove o modificate regole di immigrazione permettendo, assolutamente sì, soprattutto ora che stiamo aprendo il nuovo locale.  Dove mandare le candidature?  recruitment@piccolocafe.us Grazie Michele per avermi rilasciato questa intervista e in bocca al lupo nella tua avventura Made in USA.