Grecia

Balcani: l’accordo di Prespa sancisce il cambio di nome di Macedonia del Nord

Finalmente l’incontro fra il ministro greco Kyriakos Mitsotakis, il premier albanese Edi Rama e Zoran Zaev, Primo Ministro della Macedonia del Nord, avverrà in settimana ad Atene. Ad organizzare la conferenza è la rivista The Economist per discutere dell’accordo di Prespa che prevede il cambio di nome di Macedonia del Nord. Questo è un incontro molto importante fra questi tre paesi che sono riusciti finalmente a superare le difficoltà sul piano della comunicazione ratificando l’intesa. Questo incontro può rappresentare un nuovo inizio sul piano politico ed economico, oltre a facilitare il processo di adesione in UE per l’Albania. I Balcani rappresentano un ponte importante tra est ed ovest per l’Europa e velocizzare gli accordi è il miglior modo per fronteggiare la crisi, che coinvolge il mondo contemporaneo, e creare nuovi valori e promuovere gli scambi commerciali.

La vecchia Europa ci ricorda il futuro della nuova.

Il Covid-19 ci porta molto lontano, nell’Antica Grecia, la stessa che coniò la parola “Europa”, e che distingueva con essa il mondo civilizzato da quello che non lo era: la guerra del Peloponneso (430-404 a.C) fra Sparta ed Atene. Perché se è vero che historia magistra vitae allora dovremmo tentare di capire come l’illuminante Atene di allora gestì quella peste, che secondo il racconto del famoso storico Tucidide, era entrata nella città Stato attraverso il porto del Pireo, l’unica fonte di cibo e rifornimenti. La pandemia fece moltissimi morti in tutta la costa del Mediterraneo Orientale, presentandosi violenta a più riprese. Come allora Tucidide ricorda la retorica della propaganda sociale, politica, economica e culturale, che in tutta Ellade si faceva sull’importanza del rimanere uniti, anche oggi quella stessa distanza forzata aiuta a contenere il virus. Storicamente le pandemie sono la principale causa della diminuzione demografica nonché della mutazione degli assetti geopolitici sul piano mondiale. La peste di Atene colpì tutti e senza distinzioni sociali ed economiche; la gente si sentiva abbandonata, per cui tutto il sistema di valori conosciuto sino ad allora venne messo in discussione. Addirittura i religiosi più ferventi erano convinti che si trattasse di una prova degli dei, che favorissero come vincitrice Sparta; sembra quasi di vedere delle similitudini nelle capriole mediatiche di Donald Trump mentre tenta di dare la colpa alla Cina di Xi Jinping, senza però averne le prove, come l’America ci sta abituando sia prassi fare. C’è poi un dato particolare negli scritti di Tucidide, che è quello inerente alle conseguenze dell’epidemia sulla res publica. Lo storico ateniese evidenzia come in quel periodo si verificò la totale scomparsa dei costumi sociali: la malattia aveva infatti avuto gravi ripercussioni sull’ordine civile e religioso. I cittadini di Atene avevano smesso di avere rispetto della Legge e non ne temevano le conseguenze poiché si sentivano già sotto un giogo più grande che li avrebbe condannati a morte. Così le persone spendevano tutto il loro patrimonio a loro disposizione, e mentre molti perdevano, c’erano anche pochi individui chi investivano nella città, diventando molto ricchi. E questo sicuramente avverrà anche ai giorni nostri, per chi saprà trarne vantaggio. Un altro dato significativo che ci viene dalla Grecia antica, è quello relativo ai comportamenti disonorevoli: le persone avevano cessato le buone abitudini perché non erano più interessati a coltivare la loro buona reputazione, considerando che sarebbero morti in breve tempo. Un rischio che corrono anche le nostre democrazie moderne oggi e nell’immediato futuro.  Oggi il Pireo della vecchia e moderna Atene sono gli aeroporti di Milano, Parigi, Londra, New York, Tokyo, Singapore, Pechino, punti di snodo della nostra contemporaneità, tutti strettamente collegati fra loro, mentre l’odierna guerra del Peloponneso è quella tra il sistema tradizionale del concepire il lavoro e la longa manus del capitalismo. La nostra società è quindi obbligata a ripensare ai modelli del lavoro, di autoimpiego e di gestione delle risorse nell’era della odierna globalizzazione. Ripercorrendo i passi dello storico Tucidide possiamo annotare alcuni dati in merito ai comportamenti delle persone in vari ambiti, perché se le persone sono costrette a casa, alcuni settori dell’economia ne guadagneranno in termini di crescita, come per esempio il digital, mentre altri, per esempio l’industria e il turismo, ne usciranno profondamente lacerati. Così come in passato le pandemie hanno avuto delle ripercussioni socioeconomiche, oggi è più facile registrarne gli effetti, anche guardando i dati, molto più cospicui oggi di allora; perché se è vero che la politica del Bel Paese forse oggi non stia brillando nelle proprie scelte, la forza degli italiani si conferma nella consueta capacità di trasformare anche una tragedia come questa in una possibile quanto necessaria opportunità.  Il Covid-19 sta infatti modificando i nostri comportamenti, incidendo ad esempio su come le persone cercano le informazioni online. Secondo la ricerca sulle parole chiavi ricercate dagli utenti italiani sui motori di ricerca, seotesteronline.com, azienda italiana specializzata in analisi SEO, afferma che sono aumentate le ricerche nei settori del food delivery, ecommerce, medico così come in quello della telefonia mobile, mentre i settori dell’automotive e del travel ne sono usciti distrutti.  Il fatto che trascorriamo maggior tempo a casa ci ha portato anche ad un aumento delle conversazioni sui social, e questo dato lo conferma creationdose.com, startup italiana specializzata in Martech, verificando un incremento dei messaggi diretti su Instagram di oltre 71%, mentre le stories e i live sono aumentati oltre il 75%, con contenuti su sport in casa, cucina e momenti condivisi in famiglia. Mentre su TikTok l’aumento è stato di oltre 2.3 miliardi di visualizzazioni solo sull’hashtag #iorestoacasa, iniziativa social che ha visto gli italiani condividere la necessità di restare presso le proprie abitazioni in questa fase di crisi e quindi di lockdown.   Con la permanenza obbligata in casa abbiamo cambiato anche il modo di vivere il lavoro, e questo sta spingendo l’Italia verso un forzato processo di digital trasformation, che comunque il Paese necessitava da tempo: siamo infatti passati da 570 mila smart workers di ottobre 2019 a 3 milioni di marzo 2020 secondo coderblock.com, la startup italiana specializzata nel lavoro da remoto. Il fatto che non possiamo muoverci da casa ci ha condotti inoltre ad adottare nuovi abitudini nello shopping, e ha visto l’impennata dell’ecommerce come modalità agevole per fare acquisti. Secondo Netcomm, il consorzio italiano sull’ecommerce, il lockdown ha triplicato i nuovi consumatori online: sono infatti 2 milioni in più rispetto ai 700 mila del 2019. Mentre Nielsen, azienda globale di performance management, conferma il boom degli ordini online, con una crescita sul territorio nazionale di +82,3%. Anche i grandi brand stanno investendo sempre di più nell’ecommerce, lo confermano i dati di japal.it, specializzata in questo ambito, che da sola ha visto un aumento delle vendite di oltre il 155%.  Il valore di avere strumenti che ci permettono di comunicare i nostri messaggi e l’interattività con cui agiamo è una possibilità in più rispetto ai cives di Atene perché in questa storia siamo tutti coinvolti e insieme possiamo tentare di contribuire alla nascita di una nuova Era e verso un nuovo futuro, lasciandone delle tracce evidenti e durature, e non solo temporanee e strettamente legate a questa emergenza. E già successo nella Storia, e succederà anche adesso. Ma è altrettanto vero che, oggi più che mai, temi come la privacy e la libertà dovrebbero scuoterci, perché vanno ripensate le dinamiche del potere tra chi detiene il monopolio delle informazioni e gli Stati (ci stiamo rendendo conto tutti solo ora, e tardi con le app di contact tracking, di quanto tutto questi sia importante e di come impatta davvero nel nostro quotidiano). Questi temi possono essere affrontati solo in termini politici (e non solo quindi sotto il profilo sanitario o economico), ed è giunto il momento in cui i nostri governi (e probabilmente per primi i popoli europei) riorganizzino le loro idee rispetto allo status quo delle cose, perché le possibilità per uscire fuori da questa piaga, antica come il mondo, sono solo due: quella di essere sommersi da questa onda, oppure di cavalcarla, consegnando a noi tutti cittadini spazi aperti dove pensare e progettare le nostre vite e il nostro futuro, nella concretezza dei nostri diritti e doveri, e della nostra libertà. Come si dice oggi in Italia: distanti, ma uniti. Così oggi l’Europa deve guardare a quella che era la sua vera forma primordiale, quella incisa nelle parole di Altiero Spinelli in quel Manifesto di Ventotene, e che fa eco al motto dell’Unione Europea ancora oggi: unita, nella diversità. Sperando davvero che questa sciagura possa essere almeno l’occasione per unirci davvero; e per riunirci, nella nostra Europa.

Anita Likmeta

La ragazza di Durazzo si candida in politica in Italia: non dimentico le mie radici!

di Valeria Dedaj La giornalista e blogger Anita Likmeta, grazie al suo bagaglio professionale e la sua volontà di agire, è oggi una delle candidate di uno dei gruppi politici che sta facendo più parlare in Italia, 10 Volte Meglio. In questa intervista racconta i ricordi che custodisce per il suo Paese natio e il suo desiderio di contribuire all’Albania. Anita custodisce caramente i ricordi di un’infanzia trascorsa tra le colline di Rrubjekë, nell’entroterra albanese, quando sognava grandi storie di cui sarebbe stata la protagonista. E con tanta intransigenza Anita Likmeta conserva i valori come la verità, l’onestà e l’integrità come parte inseparabile di lei. Nota per il suo contributo nel mondo della tecnologia e dell’innovazione, all’impegno sulle questioni sociali e all’attenzione sul fenomeno dell’immigrazione, Likmeta si racconta in esclusiva su “Shekulli“, dove condivide emozioni, storie e i suoi piani per il futuro, compresa l’Albania. Se torniamo indietro nel tempo, quali sono i ricordi che salva dell’Albania? Se penso alla mia infanzia, penso alle colline di Rrubjekë. Ricordo quando le terre erano statali, l’immagine di donne e uomini che imbracciavano le loro zappe dirigendosi al lavoro. Ricordo gli abiti modesti, e dai colori opachi, che coprivano le gambe stanche delle donne, le quali affondavano le zappe coordinandosi tra una zolla di terra e l’altra. Ricordo quando mi dissero che mia madre era partita per l’Italia con la prima nave assieme alla sorellina e al fratellino, di appena 9 mesi. Il caos post regime, il primo giorno di scuola a Rrubjekë, il comizio dell’allora Primo Ministro Sali Berisha nel piazzale della scuola gremita da contadini urlanti che vedevano in lui un miracolo, l’eroe che li avrebbe condotti in una dimensione di vita migliore. Ma così non fu e non poteva esserlo. Ricordo gli anni delle piramidi finanziarie, mio zio, che nonostante gli sforzi del nonno a farlo ragionare, vendette casa ma poi perse tutto, e infine disperato e umiliato partì per la Grecia per fare un lavoro misero perché ai cittadini albanesi di quegli anni erano stati depredati anche da quei pochi averi che avevano. La quiete che precedeva la guerra civile del 1996-97. Ricordo quando la TVSH trasmetteva le lezioni per i bambini perché non potevamo andare a scuola a causa delle sommosse in atto. Ricordo le parole di mio nonno che mi diceva che gli albanesi sono un popolo con una grande storia ma che 50 anni di dittatura hanno piegato lo spirito critico nelle persone, il regime ha indebolito la volontà di farsi voce, di farsi coraggio. Nonno era un socialista liberale, e prima di partire per l’Italia mi raccomandò di studiare, mi chiese di non dimenticare mai le radici perché prima o poi si torna sempre da dove si è partiti. Quali erano i suoi primi sogni per il futuro? Da piccola amavo leggere, lessi tutti i libri di cui l’istituto elementare disponeva. Quando rientravo da scuola e portavo a pasciare le pecore nelle terre con mio cugino, mi portavo sempre con me racconti di autori stranieri come Gianni Rodari, piuttosto i classici greci che ho amato tantissimo. Onestamente da piccola non mi era ancora chiaro cosa avrei fatto concretamente, ma sognavo grandi storie di cui sarei stata la protagonista. Eccellevo negli studi, amavo dipingere e avrei voluto studiare arte, ma vivevo in campagna e i nonni erano troppo anziani e non avrebbero potuto seguirmi. La partenza per l’Italia, come è avvenuto? Aveva solo 10 anni, quali i ricordi di questo viaggio sconosciuto per lei? La partenza per l’Italia è un ricordo vivo nella mia memoria. Erano circa le undici del mattino quando io e la mia famiglia partimmo da Durazzo, salita a bordo raggiunsi la poppa e stetti lì tutto il tempo a guardare i volti delle persone. C’era tanta gente, tanti bambini, le loro urla, e poi i pianti. Persone, che forse, si salutavano per l’ultima volta. Stetti lì, aggrappata a quell’istante, all’immagine della mia terra rimpicciolirsi, ad ogni metro. Raggiungemmo Bari nella notte del 3 giugno del 1997. Ricordo i controlli della polizia italiana, le strade illuminate, e poi gli autogrill, e l’odore dei cornetti caldi al cioccolato. Molti albanesi ricordano i loro inizi discriminatori. Ma quanto si è sentita straniera in Italia, e ci sono state persone che le hanno dato una mano per alzarsi, anche moralmente? La prima difficoltà che ho trovato è stata la lingua, trascorsi tutta l’estate a studiare la grammatica italiana perché avevo bisogno di comunicare, di raccontare, di misurarmi con i compagni italiani. Poi le lingue sono diventate una passione per me, oggi ne parlo sei. Sono stati Socrate, Platone, Seneca, Virgilio, Dante, Boccaccio, Petrarca, Manzoni, Marx, Nietzsche, Goethe, Dostoevskij, Čechov, Puškin, Brecht, Levi, Arendt, de Beauvoir, de Saint-Exupéry, Silone, Spinelli, Hajdari ecc. a crescermi, a motivarmi e a credere che potevo realizzare qualsiasi cosa io avessi realmente voluto, e così è stato, nonostante tutte le difficoltà. L’Albania è sempre presente nei miei pensieri. In Italia ha concluso gli studi liceali ed universitari. Poi Parigi è stata un’altra destinazione nella sua formazione. Cosa può dirci in più? Dopo la maturità classica, ho conseguito gli studi all’Accademia di Arte Drammatica “Corrado Pani” a Roma dove ho studiato drammaturgia. Successivamente mi sono iscritta e ho conseguito la laurea in Lettere e Filosofia all’Università degli Studi “La Sapienza”. Poi ho vissuto a Parigi, per due anni, dove ho potuto approfondire gli studi in Filosofia, e dove ho avuto l’opportunità di lavorare ad un documentario in cui ho intervistato artisti, politici, comunicatori, scrittori tra cui Ismail Kadaré. Durante i suoi studi a Parigi ha lavorato ad un saggio storico in merito alle relazioni tra l’Albania e l’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma qual’è il suo rapporto concreto con la sua terra natia durante questo periodo di 20 anni? L’Albania è sempre presente nei miei pensieri, inoltre in Italia sono Co-Founder di una Holding di Comunicazione che si occupa di Digital Transformation e abbiamo sedi in 3 Paesi europei tra cui l’Albania, dove abbiamo una società, Bit2Be Shpk che si occupa di software. Cerco nel mio piccolo di contribuire, anche se mi piacerebbe molto mettere a disposizione le mie conoscenze e professionalità al servizio dell’Albania. Attrice, giornalista, blogger, e non solo. Dove si rispecchia di più Anita? Sopra ogni cosa, a me piace fare. Trovo che sia la cosa più bella in assoluto vedere le tue idee prendere forma. Ad oggi posso dire che, nonostante la storia di cui sono stata co-protagonista assieme ad altri albanesi, ho vissuto la vita che volevo. Non sono attaccata alle cose, tutto ciò di cui ho bisogno è sempre con me. Ho imparato che tutto è in perpetuo movimento e che siamo davvero nulla dinanzi ai grandi eventi della vita. Verità ed integrità sono per me i valori più alti.  Infine, è tra le candidate di un gruppo politico in Italia. Cosa puoi dirci in merito a questo movimento? Il movimento politico nazionale di 10 Volte Meglio è un gruppo composto da professionisti, imprenditori, manager, a cui potrò contribuire portando i miei valori perché oggi più che mai ritengo sia necessario prendere posizione per cambiare lo status quo delle cose. Trovo che in Albania ci sia una continuità ambigua tra il vecchio e il nuovo. Quali sono i suoi obiettivi in questo settore della politica? L’Italia è il Paese in cui ho scelto di vivere, il Paese che, vent’anni fa, mi ospitò dandomi la possibilità di studiare e soprattutto gli strumenti per potermi sollevare e realizzare nella vita. Per me queste sono ragioni più che valide che mi spingono oggi a fare qualcosa per contribuire a un’Italia che sia capace di rispondere al fenomeno della globalizzazione e in grado di misurarsi con le sfide di un’economia mondiale sempre più interdipendente. Perché credo in un’Italia inclusiva, che sia davvero multietnica e multiculturale e che veda nei “New Italians” non un problema, ma una reale risorsa dalle potenzialità ancora inesplorate. Credo nei valori europei del Manifesto di Ventotene, che superino il modello comunitario verso una politica continentale realmente federale e che abbia all’orizzonte il grande sogno europeo cresciuto con la generazione Erasmus: gli Stati Uniti d’Europa. Questo mio impegno nasce dalla profonda convinzione che quello che stiamo vivendo oggi sia un cambiamento tecnologico senza eguali nella storia. Per questo ritengo che una nuova politica debba essere in grado di dare le giuste risposte ai problemi etici e sociali che questo fenomeno comporta, rimettendo sempre al centro le persone. Che cosa pensa dello sviluppo della politica albanese, cosa la incuriosisce? Ha mai sentito il sostegno della politica albanese quando era immigrata?  Nei miei articoli parlo spesso della politica albanese. Ho seguito con molta attenzione le elezioni, e sono rimasta molto colpita dal malcontento generale dei cittadini albanesi, nei loro commenti leggevo la resa, come se votare fosse una perdita di tempo verso uno status quo delle cose già predefinito. Ecco, io credo che bisognerebbe istillare il senso civico in Albania, ma soprattutto sarebbe fondamentale creare una Commissione per la verità e la riconciliazione nazionale albanese, perché credo ci sia una continuità ambigua tra il vecchio e il nuovo, ma che soprattutto non abbiamo dato volti e nomi a quei criminali e a quello storia da cui dovremmo tutti prendere le distanze. Questo sarebbe un piccolo, grande passo sociale verso un’Albania liberale. Per rispondere poi alla tua domanda, non ho mai sentito il supporto della politica albanese, ma sono certa che avranno avuto il loro gran da fare in questi anni. Tuttavia, la sua vita è concentrata sull’Italia, ma ha mai pensato di ritornare in Albania. Se sì, quale sarebbe il contributo che potrebbe dare? Diciamo che non escludo nulla, come dicevo prima mi piacerebbe poter contribuire in maniera visibile e concreta in Albania, mettere il mio bagaglio di esperienze e professionalità al servizio della collettività, e avrei già alcune idee valide, se avessi il sostegno del governo albanese potrei agire diversamente ed essere più veloce. E infine, quali sono i progetti di Anita per il futuro, anche in politica? A breve termine, sogno l’Albania in Europa. Quello che so per certo però è che rimarrò la stessa bambina sognatrice delle colline di Rrubjekë, e in ogni caso integra ed onesta.