Parag Khanna: il futuro geopolitico dell’Europa e l’immigrazione

Parag Khanna, indiano-americano, classe 1977, è la giovane certezza della geopolitica mondiale. Singolare figura di studioso globetrotter è l’autore di studi accurati e brillanti, in bilico tra reportage approfondito e avvertita analisi politico-economica. Libri come I tre imperiCome si governa il mondo (entrambi editi da Fazi) e L’età Ibrida (con Ayesha Khanna, Codice edizioni) sono preziosi per chi voglia farsi un’idea di dinamiche geopolitiche complesse in modo non episodico e non inutilmente polemico, ma con attenzione ai fatti.

In I tre imperi ha sostenuto che il ruolo geopolitico dell’Europa è ancora determinante, eppure la sensazione attuale è che, almeno culturalmente, al momento l’Europa si trovi in una empasse: non riesce a integrare i flussi migratori, non incide sui conflitti geopolitici. Sembra più che il campo di battaglia per l’esplosione di fondamentalismi, vedi tragedia Charlie Hebdo…

Premesso che anche i grandi imperi, a volte, soffrono di impotenza, io invece credo che l’Europa sia ancora importante. Quanto più mobilità, fusione di industrie, aree commerciali interne, una popolazione che cresce demograficamente, conterrà, quanto più l’Europa potrà crescere ancora. Se l’Europa restasse culturalmente e geo-politicamente limitata a Inghilterra, Francia, Italia e Spagna, rischierebbe di diventare molto debole. Con l’eccezione della Germania che è la più grande economia che c’è nel vecchio Continente. Se invece diventasse un’entità di trenta paesi includendo l’Ucraina, tutti i paesi balcanici (i quali hanno stretti rapporti economici con la Turchia per la tratta commerciale e industriale) allora potrebbe diventare significativa economicamente. L’Europa ha il più grande Prodotto Interno Lordo in tutto il mondo. Come piazza commerciale è come investimenti è ancora leader. Il metro di misura che determina l’importanza dell’Europa non riguarda le elezioni in Francia o l’attacco a Charlie Hebdo etc.

Lo Stato islamico sembra un enorme elemento di destabilizzazione di tutto il Medioriente. Come si ridisegnano i conflitti di forze nell’area?

Non è esatto dire questo. L’Isis è la quinta o la sesta tra i maggiori fattori di destabilizzazione negli ultimi venticinque anni. Già nell’Iraq di dieci anni fa successero cose destabilizzanti, ma possiamo guardare più indietro. All’invasione dell’Iraq nel Kuwait nel 1990, o alla rivoluzione islamica nel 1979 in Iran. Ma il principale evento destabilizzante rimane l’invasione Usa in Iraq nel 2003. L’Isis è il sintomo di un profondo cambiamento, e bisognerà creare una nuova mappa la quale sarà molto dinamica in quanto nei prossimi anni ci saranno altri gruppi come l’Isis, come Al Qaeda oppure i ribelli siriani, ci saranno gruppi etnici d’assalto, i curdi che vivono in un territorio non definito. Per cui ci vorrà tempo per avere una stabile mappa geo-politica, e magari questo avverrà fra cinque, dieci o vent’anni. Ma una cosa certa è che questa mappa non è più quella disegnata nel 1960.

Ritiene che il nucleare all’Iran possa essere un effettivo pericolo in particolare per Israele?

Non credo che il nucleare all’Iran possa costituire un pericolo.

Ma la richiesta di Netanyahu magari è fondata su una paura reale considerando i rapporti storici intercorsi fra i due paesi.

Gli Stati Uniti non hanno bisogno di farsi dire da Israele se l’Iran dovrebbe o meno avere il nucleare. Giustamente Netanyahu fa gli interessi del suo paese. Ovviamente nessuno può sapere o preventivare ciò che L’Iran potrebbe successivamente fare con il nucleare.

Le aree di tensione Oriente-Occidente sembrano corrispondere a quelle che nella tradizione sapienzale venivano chiamate “le torri del diavolo”: una sorta di linea di fuoco che dalla Siberia passa per il Medioriente arrivando fino in Africa centrale. Anche in una prospettiva puramente razionalistica non è inquietante che le linee di frattura geopolitiche euroasiatiche si assestino su queste coordinate?

C’è un arco di instabilità che parte dalla Siberia fino al Medioriente o Africa dell’est dove ci sono fondamentalismi, falsi Stati, povertà, sottosviluppo. Credo che “Il grande gioco” sia una grandissima analogia rispetto a quello che sta succedendo oggi. Ma io scrissi I tre imperi su come vincere il grande gioco costruendo nuove vie della seta. Come possiamo vedere, la Cina sta guidando l’Asia e gli investimenti, e di questo ne stanno godendo sia l’Italia che l’Inghilterra e tanti altri grandi paesi.Costruire nuove vie della seta vuol dire godere di nuove infrastrutture che possono connettere l’Europa all’Asia attraversando l’Africa dell’est.

Quali sono i paesi secondo lei leader nel campo dell’innovazione?

Ci sono molti parametri per misurare l’innovazione e qualche volta la si confonde con l’invenzione. L’invenzione è qualcosa dove gli Stati Uniti ed Europa sono leader, ma innovazione in termini di adattamento non è solo tecnologia: riguarda anche l’ambiente e il governo. L’innovazione è la città ed è lì che si sviluppa come a Londra, Parigi, Singapore la città dove vivo. L’America è leadernell’innovazione ma investe in Asia in quanto qui ci sono i mezzi e le strutture per farlo.

In Hybrid Reality lei sostiene che il bilancio dell’innovazione ha sostituito il bilancio del potere militare come misura di potenza nazionale. Lo crede ancora?

Assolutamente sì e lo trovo un concetto molto più vero oggi rispetto a ieri. Per esempio le ricerche e lo sviluppo asiatico deriva dal fatto che qui si investe moltissimo sul creare delle proprie tecnologie, perché non vogliono essere dipendenti dell’Occidente.

Nella generale irritabilità socio-economica, frutto anche dello spostamento dei popoli migranti qualcuno ha teorizzato la necessità dei confini, delle frontiere per localizzare i conflitti. Per esempio Regis Debray in Elogio delle frontiere. Cosa ne pensa?

Credo che la situazione potrebbe risolversi se l’Europa investisse in Africa. Questo farebbe sì che questi popoli rimangano nei loro paesi. Ricordo quando vivevo in Germania che c’erano dei giovani studenti turchi come me che rientrarono nel loro paesi perché videro la possibilità di crescita. Ecco, credo che se ci fossero finanziamenti la situazione potrebbe minimizzarsi. Se i popoli potessero vedere una possibilità di crescita nei loro paesi credo che non emigrerebbero.

E come si può investire considerando le tensioni politiche in questi paesi? Mi spiego. Dimitris Avramopoulos, commissario dell’Unione europea agli Affari interni e alle politiche sull’immigrazione, ha dichiarato che “per affrontare alla radice il problema dei flussi migratori, l’Unione europea deve cooperare con i paesi di origine dei migranti, anche se a volte si tratta di dittature”.

Qualche anno fa si diceva che non si poteva parlare con l’Iran e che non si poteva fare business con loro e che non si poteva parlare con Gheddafi. Ecco io credo che questo non abbia senso. Questi territori sono influenti, hanno potere e noi dobbiamo comunicare con loro. Dobbiamo trovare una via di comunicazione.

Lei ci credeva davvero alle primavere arabe che oggi si stanno rivelando una grandissimo flop?

Credo che le rivoluzioni abbiano bisogno di un loro tempo per spiegarsi e qualche volta le cose devono andare male per poter andare meglio. Credo che le primavere arabe fossero inevitabili. Quando i paesi crescono nella corruzione, nella povertà e nella privazione è normale che alla fine qualcosa accade. Per esempio in Egitto la gente non ha più paura dei loro leader di protestare per strada. Il collasso in Siria non è una sconfitta delle primavere arabe.

Come vede l’Italia sul piano politico internazionale?

L’Italia come ogni paese di media grandezza sta diventando sempre meno influente considerando il prodotto interno lordo. Ogni paese ha bisogno di capire quali sono i suoi prodotti di nicchia per poter crescere e questi possono essere per esempio il design e l’artigianato in generale e questo porterebbe l’Italia ad avere un grande impatto a livello internazionale. Credo che l’Italia si stia organizzando e ho visto ciò che sta facendo Renzi e lo trovo una buona idea quella di trovare nuove strade per le collaborazioni economiche.

Papa Francesco. Crede che sia una figura che potrebbe influenzare la scena geopolitica internazionale?

Il Vaticano non ha importanza politicamente se non per chi vive in Italia. La voce di Papa Francesco è benvenuta ma non ha potere nell’influenzare le politiche globali.

Infine il Kenya?

Guardi io credo che le religioni siano solo un pretesto nelle cause delle guerre ma i veri motivi sono soltanto il potere economico e conquista del territorio. Non esistono altri motivi.

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