Oprah Winfrey.

Time’s Up: oltre le verità

di Irisa Bezhani

Il premio alla carriera dato da Hollywood Foreign Press Association ad Oprah Winfrey, ed il suo successivo discorso di ringraziamento, hanno segnato un momento importante nella notte dei Golden Globes di quest’anno. Un momento di cui si continua a discutere ancora molto. Addirittura c’è chi ha osato scherzando su una ipotetica corsa alla Casa Bianca.

Ma andiamo con ordine. Durante la notte dei Golden Globe 2018, tenuto il 7 gennaio al Beverly Hilton Hotel di Beverly HillsReese Witherspoon introduce il Premio Cecil B. de Mille alla famosa ed amatissima Oprah Winfrey, per capirci meglio la Maria de Filippi della televisione americana. Durante il discorso, Oprah sottolinea l’importanza della rappresentazione delle minoranze nei media, proprio perché si ricorda di quando da ragazzina aveva assistito agli Oscar del 1964 che videro premiato come miglior attore protagonista Sidney Poitier, il primo uomo di colore ad aggiudicarsi la statuetta nella storia del cinema, tra l’altro in un’anno importante per il movimento dei diritti civili degli afroamericani negli Stati Uniti d’America.

Diciotto anni più tardi, la storia si ripete e  Poitier viene premiato con lo stesso premio, correva l’anno 1982. Il 2018 vede protagonista la Winfrey, e la signora della TV americana sa bene quanto questi momenti siano importanti ed incisive per le giovani donne nere, che come lei sognano ancora oggi dinanzi alla televisione. Una Oprah visibilmente commossa racconta nel suo elogio alle grandi figure del mondo black la storia di Recy Taylor, morta il 28 dicembre 2017, la quale nel 1944 era stata rapita, violentata da sei uomini bianchi armati per poi essere abbandonata  bendata sul ciglio di una strada, mentre faceva ritorno a casa dal gospel. Fu proprio Rosa Parks, che lavorava al NAACP (l’Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore),  ad investigare sul suo caso; purtroppo però, gli uomini che la violentarono non vennero mai puniti.

“Raccontare la propria verità è lo strumento più potente che tutti noi abbiamo” sostiene Oprah durante il suo discorso, evidenziando inoltre di come ci siano tantissime altre vittime di abuso sessuale di cui non si sapranno mai i nomi e che proprio attraverso il movimento Time’s Up che si prefigge di aiutare con un supporto economico le spese legali per tutte le vittime.
Il discorso di Oprah Winfrey è stato quindi positivo, inclusivo anche nei confronti degli uomini, e con un messaggio di speranza per il futuro della società non solo americana ma anche quella di tutto il mondo. Durante la trasmissione dell’evento però, nell’account twitter di NBC, la rete che ha trasmesso la cerimonia, è comparso un tweet che riportava la scritta “Nient’altro che rispetto per il NOSTRO futuro Presidente. #Golden Globe”

Il tweet è stato poi subito rimosso con la spiegazione da parte dell’emittente che si trattava di uno scherzo e che non era un commento politico. Ma poco importa, ormai il danno è fatto. Subito i giornali hanno preso a parlare di una futura corsa alla Casa Bianca di Oprah nel 2020 nonostante che durante il discorso la stessa Winfrey non avesse fatto cenno alla politica o ad una sua futura candidatura. Oprah insomma non ha dichiarato nulla in merito, ma sappiamo che due fonti anonime vicine alla magnate della televisione americana le hanno per mesi suggerito di candidarsi. Speculazioni a parte,  Oprah non si candiderà in politica. Dunque perché queste insinuazioni? Forse per preparare il pubblico ad una battaglia tra Oprah e Trump nel 2020? Il punto non è questo, piuttosto le sue parole che hanno trascinato e avvalorato il movimento #MeeToo , influenzando ed incendiando ancora il dibattito pubblico sul famoso caso Weinstein, e più in generale dei diritti civili per le donne. Il movimento #MeToo infatti prende piede dopo un famoso tweet dell’attrice Alyssa Milano che invitava le persone a rispondere con un “#meetoo” (anch’io) al suo tweet per dimostrare quanto questo problema delle molestie sessuali sia in realtà molto diffuso, e che non è solo prerogativa di Hollywood.

Alyssa Milano Tweet Ma bisogna ricordare, per dovere di cronaca, che questo movimento è stato istituito nel 2007 dall’attivista Tarana Burke, la quale  presenziava ai Golden Globe. L’organizzazione no-profit, Just Be Inc. aiuta le vittime di violenza sessuale. L’opinione pubblica italiana non è stata immune all’ondata di rinnovata consapevolezza su questo tema, e così anche da noi si è parlato di molestie sessuali sia dentro che fuori l’ambiente lavorativo. Il movimento #MeToo ha avuto il merito di smascherare finalmente moltissime persone potenti e autorevoli, o presunte tali, nel proprio settore che hanno goduto dell’impunità delle loro azioni soltanto grazie alla loro fama e alla loro influenza. Si è anche parlato di una caccia alle streghe, e questa affermazione ha una sua verità, nonostante alluda ad un immaginario un po’ troppo estremo. Condannare una persona  ancor prima che sia un giudice a farlo è piuttosto pericoloso per diverse ragioni: prima di tutto si perde quel fantastico concetto giuridico che si chiama presunzione di innocenza, una volta collegata la parola molestia, o anche solo si siano levate accuse di molestia sessuale ad una persona, la sua immagine, e molto probabilmente anche la sua carriera, vengono irreversibilmente distrutte. Capita spesso che leggendo una storia, di qualunque genere essa sia, ci si sia trovati a crederla, per quanto esagerata o “gonfiata” ci sia apparsa. Ebbene, accade però che quella storia era falsa, che era stata scritta senza verificare le fonti o che era stata messa in circolazione  in mala fede, in modo da avallare la visione politica del mondo di quell’autore, pur essendo consapevole della sua infondatezza. Ma ormai il danno è fatto, per quanto quel giornale possa pubblicare tweet di correzione al proprio articolo, ormai quella storia si è insediata nella nostra mente e nessuno si metterà a leggere la correzione dei fatti.

La stessa cosa accade per queste accuse: una volta letto che una donna, spesso anche protetta dall’anonimato, accusa un attore di Hollywood per molestie, si chiude lì la faccenda e si associa il nome di quell’attore allo stupro e non ci si informerà più se magari quell’accusa era fondata, se le storie erano concordate o se un processo le ha condannato o meno. Bisogna fare attenzione a questo meccanismo mediatico e fare attenzione al materiale che leggiamo magari facendo fact-checking da soli e attuando un pensiero critico per ogni singola vicenda. In secondo luogo, condanna nell’immediato una persona, che probabilmente potrebbe anche risultare innocente, porta a sminuire gli episodi veri e supportati da prove di abuso e molestie sessuali, e a buttare tutte le storie in un unico calderone senza distinguere caso per caso la gravità delle azioni perpetrate, equivalendo così la gravità di uno stupro ad una barzelletta a sfondo sessuale detta inopportunamente al lavoro.

Le interazioni di tipo romantico o sessuale al lavoro esisteranno sempre, è inutile negarlo. Molte persone infatti trovano il proprio partner proprio durante le loro ore lavorative. Questo dibattito pone perciò moltissime domande: è giusto porre sullo stesso piano, dal punto di vista penale ed anche di condanna da parte dell’opinione pubblica, un commento indesiderato sull’aspetto di una persona ad una richiesta di favore sessuale in cambio di avanzamento professionale? Quanto è appropriata l’interazione sessuale o romantica sul luogo di lavoro? Credo che una forte comunicazione all’interno dell’azienda ed una dirigenza reattiva e sensibile, che sia in grado di accogliere dai dipendenti lamentele riguardanti comportamenti inappropriati da parte di una collega senza che questo temi una ritorsione o la possibilità di non essere creduto, sia fondamentale. Un intervento tempestivo potrebbe persino risolvere la questione.

Ma la questione, in ultima analisi, è molto più culturale che altro. Agli uomini è sempre stato insegnato, sia direttamente che indirettamente, che è lui a dover fare il primo passo, a mandare segnali sessuali diretti. È lui il “predatore”,  è lui che dovrà insistere fino a quando quel “no” si trasformerà in un “sì”, e sarà quindi sempre lui che si prenderà le conseguenze del suo operato, che sia un rifiuto, a cui diciamocelo, noi donne siamo state abituate molto meno, oppure un’accusa di comportamento molesto a sfondo sessuale, se non sa intercettare il consenso dell’altra persona. Al contrario, alle donne è stato insegnato ad aspettare, ad essere “preda” e di conseguenza a mandare segnali sessuali indiretti, e persino quando vorremmo dire di sì, diciamo comunque no, perché non vogliamo sembrare troppo “facili”, qualsiasi cosa questo voglia dire. Ci prendiamo personalmente, quindi, molto meno rischi rispetto agli uomini, ma allo stesso tempo siamo noi, per la maggior parte, a determinare se un comportamento è molesto o no, ed è quanto basta per considerare quel comportamento molestia secondo la legge.

Insomma, il discorso è complesso, ogni persona in campo si deve prendere le proprie responsabilità e gli uomini che abusano del proprio potere e status, imponendo anche in forma consensuale una donna a fargli dei favori sessuali, e più gravemente in forma non consensuale, danneggiano non solo la propria azienda, ma anche tutti gli altri lavoratori e lavoratrici che lavorano per lui che si vedono quindi tolta una possibilità di promozione leale e basata sul merito. Il problema delle molestie sessuali sul luogo di lavoro riguarda tutti. Questo sistema non è giusto per nessuno, uomini compresi.

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